Claudio Abbado e Marta Argerich
Giovedì 6 ottobre e venerdì 7 ottobre 2005
Auditorim Parco della Musica
Sala Santa Cecilia
Roma è una città piena d’arte: i musei, i palazzi, i cortili, le chiese ostentano una bellezza accumulata da più di duemila anni. Anche le tradizioni pittoriche, teatrali e musicali sono solide e sviluppate per da secoli grazie alle corti papali, principesche e nobiliari che hanno arricchito e depredato la città. Ma mentre le arti figurative ed il teatro seguitano a ricevere un impulso forte abbastanza anche ai massimi livelli, la musica incontra maggiori difficoltà. Roma è sede di un conservatorio prestigioso; vede la coesistenza di numerose associazioni musicali dal vertiginoso ritmo organizzativo tuttavia, neanche attraverso le sue istituzioni più importanti riesce ad ospitare interpreti dal nome altisonante che dirigano le proprie compagini orchestrali o ne siano accompagnati in concerto: quando ciò accade l’evento richiama la massa degli appassionati musicofili e dei mitomani.
Giovedì 6 ottobre l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha ospitato un concerto della Lucerne Festival Orchestra diretta da Claudio Abbado con la partecipazione di Marta Argerich solista. I due musicisti non solo sono personaggi prestigiosi, ma rappresentano addirittura monumenti viventi dell’interpretazione musicale.
Il primo, celebrato in tutto il mondo, è stato direttore musicale alla Scala di Milano, alla Staatsoper di Vienna, dei Berliner Philarmoniker; ha fondato il Festival Wien Modern, la Mahler Chamber Orchestra, la Chamber Orchestra of Europe, la Mozart di Bologna e la Orquestra de Jovenes Latinoamericanos; dirige a Salisburgo il Festival di Pasqua e dal 2003 è impegnato con la nuova compagine dell’Orchestra del Festival di Lucerna. È inutile elencare riconoscimenti e premi, ricevuti in tutto il mondo, o enumerare i concerti e le incisioni prestigiose.
Marta Argerich è una delle più grandi pianiste sia in termini di abilità sia di popolarità ed è considerata interprete di riferimento per il repertorio pianistico del XIX e XX secolo: nel 2001 è stata eletta dal “Musical America” musicista dell’anno.
La Festival Orchestra di Lucerna era stata creata nel 1938 per Arturo Toscanini; nel 2003 vi è stata una sorta di “rifondazione” per merito di Abbado: essa raccoglie molti tra i più prestigiosi maestri d’orchestra europei, provenienti da tutte le formazioni che il grande direttore ha fondato o diretto.
Con queste premesse c’era di che scaldare il cuore e spellarsi le mani di fronte a qualsiasi programma. In effetti anche il programma – concerto n. 1 in do maggiore per pianoforte ed orchestra op. 15 di Ludwig van Beethoven e Sinfonia n. 7 in mi maggiore di Anton Brukner – è stato notevole per intensità e durata.
L’opera beethoveniana mostra immediatamente dalle primissime battute gli accenti eroici, che tradizionalmente si attribuiscono al grande musicista, con un impianto ed un ricercare in echi mozartiani: la solista ha ben evidenziato ed accentuato i primi, trascurando senza dubbio i secondi. Anche se, nelle normali interpretazioni delle vicende umane, l’eroismo prevale spesso la poesia ciò avviene a discapito del risultato, che diviene involucro vuoto, quasi brutalità. Le esercitatissime e precise (pesanti) mani di Marta Argerich hanno ribadito il concetto così banalizzato, soprattutto nel primo e terzo movimento, in cui la presenza dell’orchestra risultava ben al di sotto della soglia udibile, sovrastata dalle sonorità pianistiche. Comunque l’intensità dell’esecuzione piaceva sia ai melomani sia ai mitomani che, decisi ancor prima dell’inizio del concerto a manifestare le proprie acclamazioni, per circa venti minuti non hanno consentito alla grande pianista di concedersi il meritato riposo per un simile dispendio di energia.
Dopo l’intervallo, il programma proponeva la mastodontica “settima” di Brukner che, bisogna sottolineare, risulta godibilissima nonostante la durata che supera i settanta minuti.
La prima considerazione che va fatta riguarda il forte richiamo alle invenzioni wagneriane – della melodia infinita – e all’alternarsi di momenti di grande empito ad altri di distensione e ricerca della serenità attraverso le armonie. La strumentazione è importantissima per apprezzare il volume sonoro immaginato dall’autore: uno stuolo di violini ed archi – ben dieci i contrabbassi! – sono necessari per contrastare o accompagnare i fiati che si esprimono con vigore, eccessivo quello del flauto, ma soprattutto per assicurare un sostegno denso ed onnipresente. Le immagini e le dediche che Brukner fantasticava nello scrivere, sono meglio comprese dagli studiosi della filologia musicale: il semplice ascolto suggerisce un’architettura grandiosa e celebrativa, vasta come un romanzo in cui molti sentieri narrativi si affacciano, suscitando sentimenti accesi o sfumati. Il rischio, nella lettura di una simile composizione, è di perdere di vista le tante vicende proposte, che possono rimanere appiattite nella descrizione dell’insieme: proprio questo ci è parso il difetto d’interpretazione. L’appiattimento, in una esecuzione grandiosa, può essere generato, ad esempio, dal forte di un tema, che si conclude, contrapposto al nuovo che viene introdotto, o dal prevalere di una base armonica di sottofondo nei confronti di una melodia eseguita in maniera delicata.
Qualche appunto va fatto alla società Musica per Roma, che gestisce il Parco della Musica: è un fatto risaputo che talvolta si entri in un bar e si beva un caffè per poter soddisfare altri bisogni corporali; ma se non si spendono 29,00 € di biglietto (in galleria!) solo per fare pipì, ci si attenderebbe di non doversi avventurare, alla bisogna, in spasmodica ricerca delle rarissime e minuscole toilettes al piano, nella Sala Santa Cecilia. Vogliamo concludere con la solita nota di colore a riguardo delle crisi di tosse convulsiva che colpiscono gran parte degli spettatori nei pochi attimi di silenzio tra un tempo e l’altro dell’esecuzione – mai nell’intervallo – e che caratterizzano tutti i concerti romani tanto da costringere il Maestro ad urlare: “silenzio!” tra il primo ed il secondo movimento del concerto op. 15 del grande compositore tedesco.
treamici