Il medico dei pazzi
di Eduardo Scarpetta, con Carlo Giuffré; regia di Carlo Giuffré
al Teatro Quirino di Roma
“O medico d’e’pazze” è la riedizione in lingua napoletana di una celebre pochade francese. Il protagonista Felice Sciosciammocca, sindaco di Roccasecca, si reca a Napoli per visitare l’ospedale dei pazzi che il nipote Ciccillo afferma di avere costruito, fingendosi medico per ottenere i denari necessari ad una vita lussuosa e libertina. Ciccillo conduce lo zio alla pensione Stella, spacciandola per l’Ospedale e confidando nell’eccentricità degli ospiti.
La proposta teatrale di Carlo Giuffré si presenta così, gaia e vivace: le scene di Aldo Buti danno il senso dell’azione ad un palcoscenico allegramente illuminato; le musiche tratte dal repertorio napoletano, o ad esso liberamente ispirate, da Francesco Giuffré sottolineano piacevolmente gli eventi; i costumi aiutano gli attori a creare adeguatamente i personaggi con fantasia ed eccentricità, per merito di Giusi Giustino.
Carlo Giuffré, Piero Pepe, Aldo De Martino, Monica Assante di Tasso e Antonella Lori in alcuni momenti sono in grado di attingere a quella poeticità tutta partenopea pur se rimane l’equivoco di una lettura registica un po’ dissonante: intendere la pazzia come scarto tra conformismo e stravaganza, antidoto al grigiore della certezza e garanzia di libertà. I pazzi, invece, sono persone che non fanno ridere e soffrono, facendo soffrire.
Essi non sono generati dalla nostra immaginazione; piuttosto contribuiamo alla loro sofferenza con l’indifferenza e la cattiva coscienza di immaginarli liberi e, perciò, contenti.
L’equivoco di Giuffré – la pazzia intesa come libertà – sta nell’intenzione di orientare il pur brillantissimo testo di Eduardo Scarpetta verso un sotterraneo filone drammatico di stampo pirandelliano, cui non appartiene, mentre esso sembra più verosimilmente attingere ad una visione ironica della vita, usata e non rifiutata.
Sandra Antonetti