Lettere di una monaca portoghese

Lettere di una monaca portoghese

monaca portoghese      Suor Mariana si consuma d’amore “profano”, chiusa nella sua cella. Scrive lettere lunghe, peccaminose e ardenti, che affida di nascosto  ad un luogotenente, perchè arrivino nelle mani del suo cavaliere “assente”. La mancanza di risposte o la freddezza delle brevi parole di lui, invece di scoraggiarla,  infiammano irrimediabilmente e follemente il suo cuore.
L’allucinazione dura un anno, entro il quale si consuma la lotta tra la ragione e la passione, all’interno di un’immutabile struttura conventuale e liturgica, composta di preghiere, rituali, canti. Il fantasma del cavaliere anima i giorni e le notti di Mariana.

Nel 1669 vennero pubblicate a Parigi cinque “Lettere di una monaca portoghese“, missive d’amore struggente, scritte presumibilmente da una monaca.
Di lei si conosce molto poco:  il nome, Mariana, e il suo ardente amore per un anonimo ufficiale francese, che l’ha sedotta, trascinandola nel peccato e nella follia, e poi abbandonata.
Questo piccolo libro, pubblicato per la prima volta a Parigi, ebbe un successo enorme, tanto che divenne subito uno dei casi più controversi della letteratura francese.
Da un lato, l’interesse nacque per l’argomento, una passione sacrilega, un amore senza pudori descritto con uno stile tumultuoso e a tratti delirante; dall’altro, la curiosità crebbe per il mistero che avvolgeva l’identità dell’autore.
…quelle lettere erano davvero opera di una monaca? o piuttosto si trattava di un’abile contraffazione letteraria? 
Si cerco’ di dissipare la nebbia, curiosando fra gli archivi del convento di Beja, a sud di Lisbona. Emerse un nome: Maria Ana Alcofarado.
Questa donna, una sorta di “monaca di Monza”, entro’ in convento a soli 12 anni, per prendere i voti quattro anni più tardi. Si conoscono solo poche date della sua vita: 22 aprile 1640 i suoi natali; 1709, anno in cui fu eletta badessa; infine, 1723, anno in cui morì.
E l’anonimo amante?
Difficile dirlo con certezza, dal momento che in nessuna delle lettere è mai esplicitato il suo nome; tuttavia, i più ritengono che si tratti di Noel Bouton, conte di Chamilly, comandante delle truppe di Luigi XIV, in stanza a Baja tra il 1664 e 1668.

Nonostante ciò, il caso letterario è tuttora irrisolto, e gli studiosi continuano a dividersi, così come fecero Stendhal, convinto che le lettere furono scritte proprio da Mariana, e Rousseau più propenso per il falso.
L’incertezza sussiste, dunque, ma in ogni caso si deve riconoscere che queste lettere, monologhi interiori al limite tra lucidità e follia, alimentati dal dolore per l’abbandono dall’esperienza dell’intollerabile crudeltà dell’amore, esprimono lo stesso pathos tragico di un’eroina di Racine, che  – proprio in quegli anni ( metà del ‘600) – stava rinnovando il genere tragico con un’analisi senza precedenti dei recessi più oscuri dell’animo.
Che si tratti di un convento reale o immaginario, quello spazio claustrofobico è testimone di uno sconcertante e violento contrasto tra ragione, sentimento interdetto e trasgressione, che percorre tutto il dibattito secentesco sull’amore.
 

martadesantis

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