un altro Calderón
tratto dalla tragedia Calderón di Pier Paolo Pasolini
Spettacolo finalista al Premio Nuove sensibilità – Napoli ottobre 2007
Teatro Vascello – dal 6 all’ 11 novembre 2007
Regia:Roberta Nicolai
Con: Michele Baronio, Tamara Bartolini, Antonio Cesari,
Marzia Ercolani, Francesca Farcomeni, Enea Tomei.
Attraverso un meccanismo misterioso, il ribaltamento de “La vita è sogno” di Calderon de la Barca e una struttura composita, si potrebbe azzardare, multimediale, in cui si combinano linguaggi diversi, Calderón, racconta una storia: Rosaura si sveglia in luoghi, in vite che non riconosce, che non le appartengono. Intorno a lei una società che predispone e le impone il reinserimento. In ognuna di queste dimensioni il Potere afferma se stesso come fondamento ontologico della realtà, origine di un determinismo che non concede via d’uscita.
Il testo è un enigma. L’enigma del corpo individuale, organico, l’enigma del rapporto tra sogno e realtà e l’enigma di un teatro che si compone di sequenze in cui il corpo è in lotta con se stesso e con le parole che ne delimitano e ne succhiano i confini fisici, il luogo in cui la parola combatte col corpo e in cui il corpo invoca una parola nuova per esprimersi. Un teatro che nella biografia di Pasolini coincide con una svolta esistenziale su cui si staglia uno slogan “gettare il proprio corpo nella lotta”
Ed è un teatro che approda, avverte la necessità, perché il corpo possa esprimere il suo dramma, di inglobare e creare immagini, di servirsi cioè di qualcosa che è strutturalmente irriducibile alla parola e di cui Pasolini ha intuito e ha profetizzato la potenza e la specificità comunicativa.
Come raccontare il Potere nell’epoca del neocapitalismo.
Come raccontare la vicenda dell’individuo inesorabilmente inserito in un sistema omologante. Come raccontare il dramma del corpo, dei corpi, costretti alla cecità da una cultura contemporanea che non trova risposta alle sue contraddizioni e si fa massificante e asfittica.
Chi, come Rosaura, è inadattabile o poco adattabile, anziché vivere tale esistenza precostituita come “membro normale”, la vive come “capro espiatorio”.
Il suo corpo, spostato da un mondo all’altro, scaraventato in uno scenario che ella non riconosce come proprio e reale, è il corpo-luogo dello straniamento dell’individuo, diverso, ribelle. Ma proprio questo corpo diventa anche il luogo in cui trovano spazio i suoi istinti, residui di un’identità sempre cercata ma a cui non è concessa la possibilità di ricostruirsi. Basilio, il re, sembra tenerla in pugno, con l’arroganza e la fantasia proprie delle forme oppressive del potere. Eppure non ha nessun dominio su di lei: lei conserva intatta la sua indipendenza più intima, l’istinto di amare che la rende l’unica creatura capace di inquietare il sonno del potere. Gli altri elementi della società, si rapportano con Rosaura con un sentimento misto di diversità e identità che s’inserisce all’interno di una stretta griglia di relazioni familiari dalla quale l’individuo è costretto e determinato. È su queste linee che Calderón s’ incontra con altri testi e suggestioni , testi contemporanei a noi che guardano il processo dalla fine, come fatto ormai avvenuto e di cui possono considerare gli effetti.
Tra tutti “58 indizi sul corpo” di Jean-Luc Nancy rappresenta una fonte d’ispirazione per la regia nella ricerca, insieme agli attori, del corpo contemporaneo inteso come luogo di incontro di contraddizioni e criticità, luogo di violenze e aberrazioni del moderno, ma anche luogo a partire dal quale immaginare che un mondo migliore è possibile, Eden mitico e politico in cui rintracciare l’innocenza originaria e la felicità, quella Rivoluzione che ormai non è più che un sentimento.
È quel corpo-luogo che disegna lo spazio e le relazioni, è quel corpo-luogo che si fa voce e significato e approda, dopo lungo vagare, al testo, alle parole; è quel corpo-luogo che crea scene, perché quel corpo è anche e soprattutto luogo di teatro.
Il testo di Pasolini, rappresentando, in parole e immagini, il potere totalizzante della nostra cultura contemporanea, accoglie e suscita il corpo-luogo che siamo diventati, lo storicizza e lo riempie di significati, diventando a tutti gli effetti la storia da mettere in scena.
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