Serata Giorgio De Chirico
Teatro dell’Opera di Roma
Andare al Teatro dell’Opera di Roma costituisce generalmente un’impresa: è necessario prenotare con largo anticipo o accontentarsi degli ultimi posti scomodi ma, tant’è, la spettacolarità degli allestimenti e la bravura degli artisti spesso ricompensa tre o quattro ore di sofferenze o una spesa ormai cospicua per le tasche semivuote di molti romani.
Giovedì 31 gennaio siamo stati attratti dal titolo del Balletto, ispirato dalle scenografie e dai costumi originali del grande Maestro Giorgio De Chirico: La Giara (libretto di Luigi Pirandello, musiche di Alfredo Casella); Apollon Musagète (musiche di Igor Stravinskij); Bacchus et Ariane (musiche di Albert Roussel); Le Bal (libretto di Boris Kochno, musiche di Vittorio Rieti). La direzione d’orchestra era di Ottavio Marino; la regia di Beppe Menegatti; le coreografie di Millicent Hodson, Luca Veggetti, Fredy Franzutti e George Balanchine (ricostruzione di Millicent Hodson).
Dobbiamo confessare che assistiamo abbastanza raramente agli spettacoli di balletto, per pigrizia ed anche perché troppo spesso la musica viene maltrattata dagli addetti ai lavori esclusivamente concentrati sul corpo di ballo: per questi motivi non ci siamo preoccupati di prenotare, decisi ad affidarci alla sorte. Arrivati al botteghino all’ultimo secondo, siamo stati colpiti dalla mancanza di folla in ingresso: “sono tutti in sala” è stato il primo pensiero, ma la pianta dei posti a disposizione era inequivocabilmente di un verde quasi uniforme. Abbiamo potuto perciò acquistare, grazie a due biglietti dal costo accessibile, un intero palco comodo e spazioso alla sinistra del sontuoso palco reale. Siamo entrati praticamente insieme al direttore d’orchestra, un minuto prima dell’apertura del sipario in un teatro semivuoto.
Il sipario si è aperto su di una splendida scenografia di cartapesta con un praticabile rappresentante il piano di una masseria: l’aia nella quale si svolge la divertente vicenda di Zi’ Dima Licasi qui definito “il Gobbo”. Il corpo di ballo in costumi sgargianti si è esibito in una (molto) fantasiosa ricostruzione della storia che uno spettatore, ignorante di Pirandello, potrebbe così raccontare: un gobbo avido, dai movimenti disarticolati, vuole compiere un furto nella casa del ricco fattore. Per punizione viene racchiuso in una macchina di tortura policroma, che somiglia ad una giara. Per festeggiare lo scampato pericolo i contadini fanno festa tutta la notte suscitando le ire del proprietario che, fuori dai gangheri, fa rotolare via la giara: tutti corrono a riacchiappare il Gobbo e lo riportano indietro insieme alla macchina di tortura. Curioso il ballo non ballo del protagonista Jorma Uotinen.
Resi esperti dell’inattendibilità di una ricostruzione fedele, abbiamo abbandonato ogni tentativo di comprendere i libretti e ci siamo affidati alla musica ed ai gesti. L’opera di Casella fa il paio con l’arte di De Chirico: bellissima, coinvolgente, discretamente eseguita permetteva di sopportare agevolmente l’allegra asincronia (voluta?) del corpo di ballo. Asincronia che è diventata noiosa e ripetitiva nel secondo ballo di Apollon Musagète: in questo caso le bellissime melodie di Stravinskij sono state decisamente mortificate dal complesso d’archi, forse nell’intento di suggerire una ieraticità adatta ai lenti movimenti dei protagonisti. Esteticamente è risultato molto bello il passo a due per la bravura di Igor Yebra (Apollo) e Oksana Kucheruk (Tersicore), ma sospettiamo che i frenetici applausi a scena aperta siano principalmente scatenati dalla prestanza fisica dell’interprete maschile, un vero Apollo.
Il terzo balletto aveva per tema l’incontro di Bacco e Arianna: Arianna abbandonata da Teseo sull’isola di Nasso viene festosamente salvata da Bacco. Ovviamente per chi non fosse a conoscenza del mito risultava impossibile comprendere alcunché: si riconosceva la sagoma di una barchetta nera, dunque siamo al mare; compare un lungo nastro nero che, spieghiamo ai bambini, dovrebbe rappresentare il “filo” di Arianna; infine si scatena un ballo molto divertente, simbolicamente orgiastico, con fauni, altre creature dei boschi e tre ninfe dal petto nudo. L’orchestra, di nuovo ad organico completo, ha eseguito con vigore una musica abbastanza facile e molto adatta al balletto sia in questo tema sia nel successivo ancora più brillante (Le Bal).
Grandi applausi ai protagonisti: Gaia Straccamore (Arianna), Giuseppe Picone (Bacco); ancora Gaia Straccamore (La Dama) e Damiano Monelli (Il Giovane). Bisogna sottolineare come, più che dal corpo di ballo, il pubblico sia attratto in particolare dal corpo dei ballerini maschi: in bellissima forma, scattanti e dal portamento elegante hanno ricevuto vere ovazioni al termine di evoluzioni difficili o momenti solistici.
Siamo usciti dal teatro comunque contenti della serata, ma riportando anche un’impressione negativa perché, se risulta evidente la grandissima cultura espressa da uno spettacolo del genere – che, non per niente, attinge ad artefici straordinari come Casella, De Chirico, Balanchine -, troppo spesso i registi, i coreografi e i direttori d’orchestra si accontentano di soluzioni banali, ripetitive che, spesso, sembrano non tener conto della musica eseguita. Coreografi e registi dovrebbero imparare a leggere le partiture.
pietrodesantis