Masaniello il musical
di Tato Russo
Lo spettacolo, visto al teatro Quirino di Roma, ripercorre abbastanza fedelmente l’ascesa e la caduta di Tommaso Aniello d’Amalfi detto Masaniello, figura storica mitizzata dalla fantasia popolare.
Era nato il 29 giugno 1620 in Vico Rotto al Mercato, a Napoli; morì il 16 luglio 1647, festa della Madonna del Carmine. Vestiva da pescatore – camicia e calzoni di tela – e camminava sempre scalzo; aveva sposato la bellissima Bernardina Pisa. Usciva in barca a pescare, ma si dedicava piuttosto al piccolo contrabbando al servizio di nobili napoletani, male pagato e anche maltrattato.
La vicenda drammatica prese le mosse nei primi giorni del giugno 1647, quando Masaniello fu incaricato di istruire un gruppo di giovani “lazzari” a interpretare l’esercito degli infedeli (Alardi) nella festa della Madonna del Carmine. Don Giulio Genoino, vecchio sacerdote ed insigne giurista, contattò in segreto Masaniello perché alimentasse una sollevazione popolare contro gli spagnoli, allo scopo di equiparare i diritti dei nobili con quelli del popolo.
I moti insurrezionali iniziarono domenica 7 giugno 1647 quando Masaniello e il cugino Maso suscitarono una ribellione popolare per protestare contro le “gabelle” sulla frutta.
I giorni seguenti videro il successo della rivolta: fu un grande momento di gloria a seguito del quale il potere del giovane capopopolo divenne così forte, che il Cardinal Filomarino ed il Viceré Rodrigo Ponz De Leòn duca D’Arcos si videro costretti a trattare con lui ed a ripristinare i privilegi concessi ai napoletani da Carlo V.
A quel punto Masaniello, nelle intenzioni dei suoi ispiratori, sarebbe dovuto tornare nell’ombra ma non lo fece, suscitando il risentimento di molti, perché la sua influenza presso il Viceré diventava pericolosa anche per coloro che si erano dichiarati suoi amici.
Don Genoino e i nobili napoletani decretarono di ucciderlo. Il bandito Perrone, incaricato dell’impresa, finì con la testa conficcata in una lancia ed il suo mandante, il Duca di Maddaloni, fu cercato e sfuggì alla morte a discapito del fratello, Peppe, preso e decapitato.
La vicenda volse drammaticamente al termine e Masaniello cadde vittima delle trame dei nobili anche a causa della propria avidità: non era capace di rifiutare doni ed inviti, sedotto dalle esagerate adulazioni. Venne intossicato con la Roserpina sciolta nel vino, servitogli durante le cene in suo onore, per indurlo al delirio e renderlo inviso al popolo.
L’epilogo si ebbe il 16 luglio: Masaniello affacciatosi alla finestra di casa sua, iniziò l’ultimo discorso: era ridotto pelle ed ossa, gli occhi spiritati, la mente confusa. Il “suo” popolo lo fischiò e lo derise: egli, in preda al delirio, si rifugiò nella chiesa del Carmine e fu ricoverato in una stanza del convento. Ma lì venne ucciso. La testa fu consegnata al Viceré, come prova della morte, ed il corpo, decapitato, gettato nelle fogne.
Successivamente, per non scontentare il popolo, i resti mortali di Masaniello furono ricomposti e sepolti nella chiesa del Carmine, in cui rimasero per circa un secolo, per essere definitivamente dispersi su ordine di Ferdinando IV. A memoria di Masaniello, rimangono una lapide nella chiesa del Carmine, una statua nel chiostro ed una piazzetta a suo nome in mezzo a palazzoni in cemento armato, ma il suo nome è rimasto sinonimo di libertà e eguaglianza.
Il mito di Masaniello è emblematico di qualcosa di irraggiungibile: il potere o la libertà senza compromessi ed indipendenti dalle finalità, più o meno nobili, per le quali vengono perseguiti.
Tutte le donne e gli uomini coltivano, nel fondo del proprio cuore, un simile desiderio: che sia indirizzata verso l’amore, il potere o il danaro, la fantasia è quella di librarsi al di sopra degli altri, dirigersi verso il sole. L’inconscio sociale stimola il desiderio onnipotente, ed un grande numero di persone si identifica in simili eroi, che non hanno nulla di morale, ma sono solo spinti dal vento.
Il volo di Icaro è temerario ed ammirevole, ma non generoso; quando qualcuno afferma di tentare simili avventure per amore degli altri mente: l’ebbrezza è solo personale, però può insegnare qualcosa a chi sia in grado di osservarla senza incantamenti.
La stessa natura del mito porta alla sua fine: accettare compromessi lo svuota; non accettare compromessi lo distrugge.
La storia del giovane pescatore napoletano non è, perciò, una saga popolare: tutti i protagonisti storici – nobili e popolani – furono inconsapevolmente trascinati nel vortice dell’inconscio sociale, potentemente attivato dal volo emozionale di Masaniello-Icaro e dalla bellissima moglie Bernardina, “regina dei poveri”.
Questo dovrebbe avere immaginato anche Tato Russo nel tentativo, fallito, di portare sulla scena quei sentimenti violenti, esibiti con prepotenza quasi quattro secoli or sono. Il tentativo non gli è riuscito perché l’aspetto epico della vicenda, pur se intravisto, è rimasto lontano: il suo Masaniello è diventato un rivoluzionario piccolo borghese, un sindacalista, un esponente della caritas diocesana non molto esperto e perciò facilmente ingannato.
Così l’attore e regista si è accontentato delle (proprie) melodie troppo banali e ripetitive e di inesistenti coreografie: quando i due ingredienti fondamentali di un musical sono di qualità mediocre, l’esito è scontato.
La bella vocalità dei molti interpreti è stata anche mortificata dalla “solita” amplificazione che: primo, rende indistinguibili gli interpreti contemporaneamente presenti sulla scena (non si capisce chi stia cantando in quel momento) e, secondo, rende incomprensibili le intenzioni espressive, in quanto tutte le voci risultano emesse tra il forte ed il fortissimo per superare l’altrettanto forte base orchestrale.
Tato Russo pecca di presunzione: suo il libretto e le liriche; sue le scene; sue le musiche; sua la regia; egli l’interprete principale. Di molti ruoli non è risultato all’altezza.
Abbiamo trovato molto buona l’orchestrazione e bravi complessivamente gli interpreti, in uno spettacolo noioso, ravvivato dal fuori programma della presenza di un sorridentissimo Presidente del Consiglio dei Ministri e della nutrita sua scorta: venne per confrontare il proprio mito con quello di Masaniello?
(pietro de santis)