L’odore dell’inconscio
manifestazione in omaggio a Sandro Gindro a sette anni dalla sua scomparsa
ha presentato:
Appuntamento a Londra
di Mario Vargas Llosa con Pamela Villoresi e Maurizio Panici
e
Cristina Zavalloni canta l’amore
da Frescobaldi a Gindro, accompagnata al pianoforte da Andrea Rebaudengo
Ci fa piacere raccontare questi due eventi per la loro eccezionalità e, per quanto siano irripetibili, ne proponiamo la lettura come suggerimento, per chi vuole, a cercare gli artisti che ne sono stati interpreti.
Lunedì 25 maggio, nella sala Auditorium del Palazzo delle Esposizioni di Roma, Pamela Villoresi e Maurizio Panici hanno letto il testo di Vargas Llosa “Appuntamento a Londra”.
Era prevista la partecipazione di David Sebasti che, per problemi di viaggio, è stato sostituito da Maurizio Panici, regista dello spettacolo che debutterà mercoledì 8 luglio sul palcoscenico del Teatro Caio Melisso per il Festival di Spoleto 2009.
Si è trattata di una lettura al tavolino, preziosa, di fronte a pochissimi ascoltatori.
Il testo presenta due personaggi, un uomo ed una donna, di cui si apprende pian, piano la storia.
Egli, un potente manager di Lima arrivato a Londra per affari concede un breve colloquio a lei, che afferma di essere sorella del suo migliore amico scomparso da trenta anni e mai più incontrato.
Il dialogo porta a scoprire la storia dei due amici quindicenni: un’intesa che poteva definirsi amore, tanto che in seguito al tentativo di un bacio da parte di Pirulo, il ragazzo scomparso, si compì l’episodio drammatico causa della loro separazione. Il più robusto dei due, ora manager, reagì con un pugno che ruppe il setto nasale all’altro. Da quel momento non si incontrarono più, anche se il più violento seguitò a cercare a lungo l’amico per chiedere perdono.
Attraverso dialogo tra i due personaggi sulla scena avviene il disvelamento: lei è in realtà l’amico scomparso, Pirulo, operatosi in Marocco per diventare donna e, spiega, non essere stata mai omosessuale, ma di avere semplicemente un corpo sbagliato. Ora il corpo è giusto ed è tornata dall’amico.
Il manager confessa a sua volta di avere avuto la vita sconvolta da quel bacio, tanto da non sopportare più i rapporti sessuali con le donne. A questo punto i due fingono, per gioco, di non essersi mai lasciati: lei, operata per coronare il sogno amore, lo incontra a Londra per sfuggire al pettegolezzo di Lima.
Forse neanche questa è finzione anzi, forse la finzione è il travestimento di Pirulo da donna perché, forse, è sempre rimasto maschio: entrambi hanno vissuto insieme come amanti omosessuali ed il travestimento serve a non mettere in imbarazzo il manager.
Ma, di nuovo, forse questa è ancora una fantasia di lui, il manager, e la realtà potrebbe ancora essere diversa… una sola cosa è certa: l’amore.
Il testo è accattivante e lascia una piccola sorpresa nel finale che non svelerò.
La lettura di questo testo era a compendio di un convegno incentrato sulle perversioni sessuali e mi pare emerga, da quanto sono riuscito a raccontare, che l’argomento risultasse particolarmente centrato. Due considerazioni a margine, a parte la straordinaria bravura degli interpreti: Vargas Llosa affronta da molto tempo argomenti inerenti la sessualità e le cosiddette perversioni sessuali, portando un vigoroso contributo alla psicoanalisi – che è generalmente balbettante sull’argomento – tanto che lo stesso Gindro, crediamo noi, ne approverebbe le proposte e, in particolare, una su tutte: l’importante è amare. Così anche affermano i poeti, ad esempio quelli che tornano in mente a me in questo momento: Pasolini “Solo l’amare, solo il conoscere conta, non l’aver amato, non l’aver conosciuto” (Il pianto della scavatrice); Carducci “Contessa, che è mai la vita? E’ l’ombra d’un sogno fuggente. La favola breve è finita, il vero immortale è l’amor” (Jaufré Rudel), San Paolo “Queste dunque le tre cose che rimando: la fede, la speranza, la carità; ma di tutte queste cose la più grande è la carità” (Lettera ai Corinzi 13,13) e tutti quelli che torneranno in mente a voi.
Chi può vada a Spoleto, 8 e 9 luglio, o in giro per l’Italia nella prossima stagione (si spera).
Giovedì 28 maggio nel Teatro Vascello di Roma, Cristina Zavalloni ha cantato l’amore “da Frescobaldi a Gindro”: più corretto sarebbe stato affermare da Dowland a Gindro.
Per molti il nome di Cristina Zavalloni risulterà (quasi) sconosciuto: si tratta di una straordinaria cantante lirica, giovane, che si divide tra l’opera barocca, quella del novecento e contemporanea (ella si esclude dal melodramma romantico) con rapide incursioni nel mondo del jazz; la sua fama si estende molto in Europa e poco in Italia.
Il programma comprendeva: “Weep you no more, sad fountains” di J. Dowland; “Così mi disprezzate” di G. Frescobaldi; due delle “Quattro canzoni popolari” di L. Berio; “Je te veux” di E. Satie; “Intorno a otto poesie d’amore” di S. Gindro; “Credevo” di S. Gindro; “Trilogia d’amore” di S. Gindro; tre delle “Siete canciones populares espanolas” di M. De Falla; “Songs my mother taught me” di C. Ives; “The owl and the pussycat” di I.Stravinsky; due delle “Cinco Canciones Negras” di X. Montsalvatge.
Avevo, inizialmente, mal giudicato il programma: troppo eterogeneo, sembrava pensato da un artista alle prime armi e non da un professionista. Mi sono ricreduto una prima volta studiandone tutti i brani: autori e contenuti. Mi sono accorto che tutti ruotavano intorno ai temi d’amore trattati da Sandro Gindro in “Intorno a otto poesie d’amore”: l’amore tra un uomo ed una donna, l’amore omosessuale, l’amore per una prostituta, l’amore verso i genitori, l’amore verso i figli e, anche, l’amore di un gufo verso una gattina. Tutto il concerto era centrato sul significato attribuito da Sandro Gindro all’amore.
Mi sono ricreduto definitivamente la sera del concerto: Cristina Zavalloni ha interpretato correttamente Dowland con voce “non impostata” (come ha fatto Sting nel suo famoso cd); ha affrontato gli stupendi e difficili vocalismi di Frescobaldi con grande scioltezza conferendovi una inaspettata modernità; ha fatto apprezzare il tentativo madrigalesco di Berio (lontano dall’astruso compositore de “Un re in ascolto”); ha colmato di una passione sensuale il valzer di Satie dedicato ad una puttana; ha assunto il piglio della Carmen nel cantare le canzoni di De Falla; ha cullato il pubblico con la ninna nanna di Ives; ha divertito briosamente con il corteggiamento descritto da Stravinsky; ed ha riempito di tenerezza struggente e densa di nostalgia con le canzoni di Montsalvatge.
Per ultimo ho lasciato un commento ai brani di Sandro Gindro. Cristina Zavalloni ha dimostrato di avere molto “lavorato” sull’autore: ha offerto una lettura bella ed originale delle “otto poesie d’amore” cogliendo il differente carattere di ciascuna anche se, nell’adattare quei brani al proprio corpo, ne ha volutamente alterato alcune note. Abbiamo apprezzato in modo particolare l’aria “Che i corpi hanno odore…”, difficilissima perché talmente ricca di alterazioni da sembrare astratta e scritta in una politonalità “acida” come l’odore, che la cantante ha saputo esprimere con una assoluta morbidezza. Molto ben eseguita l’aria “Credevo” e, probabilmente, nel tempo giusto che è risultato un poco accelerato rispetto a quanto ascoltato in altri concerti.
Un piccolo colpo di scena – inatteso perché non concordato – ci ha sorpreso con la sostituzione della “Trilogia d’amore” di Gindro con tre canzoni popolari dello stesso autore, rese in maniera particolarmente interessante: “Nel mio giardino” cantata a cappella; “Mi sono innamorato” cantata con accompagnamento ritmico tambureggiante sul legno del pianoforte e “La notte sulle spalle” accompagnata al pianoforte in stile jazzistico.
Hanno concluso la serata due straordinari bis: l’aria “Ah, quel dîner” dalla Perichole di Offenbach recitata e cantata “intonata-stonata” nell’interpretazione di una dama ubriaca e “Que sera, sera” (Testo originale e musica di J. Livingston e R. Evans, 1955) cantata su tre registri diversi, nelle tre diverse ambientazioni suggerite dal testo.
Che dire di questa interprete? È straordinaria, una vera diva che, però, pretende alcune libertà non concesse nemmeno ai grandi, anzi meno che meno ai grandi: alterare il tessuto armonico di un brano scritto, modificare un programma concordato, non dedicare un bis agli ospiti.
Ottimo musicista Andrea Rebaudengo, molto più di un attento comprimario, capace di esaltare le doti interpretative anche corporee della partner; si è esibito in due pezzi brevi di Darius Milhaud di ispirazione brasiliana, aggiunti “in più” rispetto al programma, per consentire alla mezzosoprano un risposo di alcuni minuti. Tantissimi applausi ed entusiatici apprezzamenti per tutto il concerto.
Un consiglio a quanti hanno letto queste note (pochissimi): cercate i concerti della Zavalloni e Rebaudengo; valgono un viaggio.
pietro de santis