Il Flauto Magico secondo l’Orchestra di Piazza Vittorio
Piazza Vittorio a Roma ospitava il più famoso mercato all’aperto della capitale. Come spesso accade, nel corso del tempo a causa del mercato tutta la zona era divenuta malfamata e fatiscente e così, nella seconda metà degli anni ’90, aveva accolto con particolare facilità migliaia di immigrati, nuova linfa vitale delle nostre città. Molti stranieri avevano felicemente trovato un’occupazione nei meandri delle molteplici attività commerciali lecite o semi-lecite tanto che, in pochi anni, Piazza Vittorio era diventato il cuore multi etnico e multiculturale di Roma. All’inizio del nuovo millennio tutta la zona è stata bonificata: il mercato è stato spostato in un grande edificio coperto nelle vicinanze e la grande piazza è tornata ad ospitare giardini e a mostrare il fascino degli antichi ruderi romani, ma nell’inconscio sociale dei capitolini italiani e stranieri Piazza Vittorio rimane un simbolo di cultura popolare e di rapporti di ogni tipo (per inciso l’Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali ha pubblicato un bellissimo libro, corredato da DVD, sulla vita attuale a Piazza Vittorio). Nel 2001, all’indomani della bonifica della piazza romana e dell’attentato alle torri gemelle di New York, non casualmente il M° Mario Tronco ebbe l’idea, geniale, di raccogliere un gruppo di musicisti dalle origini più varie per costituire un’orchestra-simbolo, multi etnica e multi ritmica. Nacque così l’Orchestra di Piazza Vittorio. In otto anni di attività la compagine orchestrale ha assunto una sua fisionomia ben precisa ed ormai riconosciuta per lo meno in Europa. Molte delle operazioni che propone sono interessanti ed accattivanti, come certamente appare questa rivisitazione del Flauto Magico che piace moltissimo al pubblico per svariate ragioni, che cercheremo di approfondire, ma ci ha lasciato piuttosto perplessi. La storia, messa in scena sul palcoscenico del Teatro Olimpico di Roma – Piazza Gentile da Fabriano 17 –, che abbiamo dedotto senza leggere il libretto (lo abbiamo voluto fare dopo) è la seguente: il portinaio di un condominio napoletano (a sentire l’accento) racconta a tutti i condomini la storia accaduta tra i palazzi. Un ragazzo, Tamino probabilmente tossicodipendente, aveva avuto un brutto “ritorno” da una dose tagliata male, perché diceva di essere inseguito da un drago: lo hanno salvato tre prostitute che lavorano nella casa di appuntamenti della maitresse Regina Della Notte. Regina, una volta rimessosi in sesto il giovanotto, gli chiese di andare a recuperare la figlia, toltale dai servizi sociali e affidata alla casa famiglia gestita da un certo Sarastro. Tamino cerca nel quartiere, ma siccome non conosce lo bene si accompagna ad un piccolo delinquente e spacciatore che conosce bene la zona: Papageno. Dalla foto la ragazza, Pamina, appare molto bella e Tamino, che è ancora intontito, comincia a pensare di esserne innamorato. Nella casa famiglia ci sono strani soggetti: in particolare un operatore dei centri sociali, Monostratos, si occupa di Pamina e vuole sedurla a tutti i costi. Sarastro se ne accorge e per evitare guai o denunce da parte della ragazza lo fa sistemare di suoi amici, che gli danno una robusta “ripassata” tanto per fargli capire come va il mondo. Questa Pamina risulta una specie di “figlia dei fiori” piuttosto spaesata e fuori epoca che, a quanto pare, non aspetta altro che buttarsi in qualche storia di sesso: perciò accetta la dichiarazione di Tamino. Il direttore della casa famiglia non trova nulla da recriminare in questa storia d’amore a patto che Tamino si disintossichi, poiché ne andrebbe di mezzo la credibilità della sua struttura: impone perciò al ragazzo un percorso di riabilitazione. Tamino si impegna per tornare in buona salute dalla ragazza che, nel frattempo, ha accettato anche la corte di Papageno: sarà un fatto ereditario, ma Pamina ad organizzare qualcosa in tre non ci trova nulla di male. Regina Della Notte rimane un po’ delusa della piega che hanno preso le cose: sperava infatti di far chiudere la casa famiglia che pensa le stia rovinando la piazza; però, siccome nel frattempo gli affari le vanno bene e la figlia sembra contenta, accetta un pacificatore invito a cena di Sarastro che, a detta del portinaio, con le belle signore ci sa proprio fare. Mentre lo spettacolo procedeva, noi ci chiedevamo se in sala ci fosse qualcuno che non conoscesse il Flauto Magico e, nel caso, cosa comprendesse di quanto stava accadendo in palcoscenico: dall’entusiasmo dimostrato e dagli applausi a scena aperta ci è sembrato di capire che a nessuno importasse molto dell’opera originale. In effetti i musicisti, i cui strumenti erano rigorosamente amplificati, si sono rivelati piuttosto bravi, principalmente con i ritmi moderni e, a quanto pare, al pubblico tanto basta. Certo ci sembra strano che qualcuno abbia l’idea di costruire un musical partendo da un musical – perché tale è un singspiel – sostituendo le musiche originali con altre musiche e la storia originale con un’altra storia. Gli autori avrebbero potuto proporre lo stesso musical presentando, come hanno fatto, le interessanti arie sui ritmi preferiti sotto il titolo “La strana Storia della maitresse e del Presidente”, e sarebbe risultato abbastanza attuale. Perciò l’operazione, incentrata soprattutto sul titolo che sovrappone la suggestione di Mozart alla suggestione dell’Orchestra di Piazza Vittorio, ci ha lasciato piuttosto perplessi. Il maestro concertatore Mario Tronco ha usato abbastanza bene alcune delle incredibili arie mozartiane, attribuendo loro una coloritura ritmica su base etno-popolare che risultava accattivante: ritmi latinoamericani, africani, arrangiamenti armonici magrebini e altro. Anche se non avevamo dubbi in proposito, abbiamo potuto verificare come la musica mozartiana oltrepassi ogni barriera armonica moderna o popolare e brilli nella sua purezza anche tra Marimba, Kora e Oud. Le scene di Lino Fiorito consistevano essenzialmente nella proiezione di alcuni suoi acquerelli che scorrevano sui fondali, alternati ad una specie di storia fotografica dei personaggi; i costumi di Ortensia De Francesco sottolineavano i ruoli principali: coloratissimi quelli di Papageno, del Narratore (un Papageno anziano) e della Regina della notte adorna dei simboli della luna; scialbamente country – figlia dei fiori quello di Pamina, con gonna sotto il ginocchio; da malavitoso quello di Monostratos; una tunica bianca con il disco solare per Sarastro ed un abito indefinibile per Tamino. I costumi degli orchestrali erano variazioni sul tema “vestitevi come vi piace” ma siamo consapevoli che quegli abiti di scena contribuiscano a creare la giusta atmosfera dell’Orchestra di Piazza Vittorio. I musicisti e gli interpreti sono stati tutti realmente bravi, ciascuno nello stile che gli è proprio: ci è sembrata costretta ad una interpretazione scialba ed inespressiva, anche se in tono con lo stile musicale affidatole, Sylvie Lewis nella parte di Pamina. Una menzione particolare va concessa a Petra Magoni: con una bella voce di soprano ha realmente ben intonato tutti i vocalizzi mozartiani della Regina della notte, strappando meritati applausi a scena aperta e riuscendo ad appoggiarsi liberamente ai sottostanti ritmi proposti dall’orchestra. Non ci è affatto piaciuto, invece, il tentativo degli autori Mario Tronco e Leandro Piccioni di trasformare la favola in una realistica storia di periferia, sottraendo al Flauto Magico l’aura che gli è propria ed il cui significato si concretizza grazie alla misteriosa incomprensibilità della vita umana: la musica di Mozart ha però reso secondarie tutte le volgarità introdotte. Ci auguriamo che gli spettatori abbiano il desiderio di ritrovare le meravigliose arie ascoltate.
pietro de santis