L’organo di Sant’Antonio dei Portoghesi
Ciclo organistico internazionale. Concerto di Giampaolo Di Rosa, domenica 17 ottobre, ore 18.30
La chiesa di Sant’Antonio dei portoghesi è una costruzione relativamente piccola e molto bella, anche se pesantemente restaurata (crediamo nella seconda metà del novecento). Si trova all’inizio di via dei Portoghesi, una traversa di via della Scrofa non lontana da Piazza Navona. Trae le sue origini da un luogo di culto costruito nel XIV secolo e successivamente adattato alle forme attuali da Martino Longhi (1638) prima e da Carlo Rainaldi (1675) e Cristoforo Schor (1676). Ospita due opere rilevanti: il monumento funebre di un notabile portoghese eseguito da Canova (1808) ed una Madonna con Bambino e Santi su fondo oro di Antoniazzo Romano. Si tratta della chiesa nazionale dei Portoghesi che popolavano quella zona a partire dal quattordicesimo secolo.
Non saprei dire da quanti anni esiste una tradizione musicale associata alle attività religiose di questa chiesa: già quando, ragazzo, marinavo le lezioni ed andavo a passeggiare nel centro di Roma, di tanto in tanto mi fermavo ad ascoltare “le prove” sia in Sant’Antonio dei Portoghesi sia in Sant’Agostino (a poche centinaia di metri).
In particolare dal 2008, anno in cui fu consegnato il nuovo bellissimo organo Mascioni, il rettore della chiesa organizza un ciclo organistico internazionale nel mese di ottobre e svariati concerti durante l’anno che accompagnano, anche, le celebrazioni liturgiche. Nell’ambito di questa iniziativa si collocava il concerto in programma la scorsa domenica, eseguito da Giampaolo Di Rosa, organista principale della chiesa – e detentore di un curriculum voluminoso – che, iniziando dal programma di cui daremo conto, ha intenzione di eseguire qui l’integrale dell’opera organistica di Bach per commemorarne il 325° anno dalla nascita.
Sandro Gindro raccontava che quando gli chiedevano chi fosse per lui più grande musicista, rispondeva Bach (perché Mozart era per lui il più grande artista in assoluto).
L’opera musicale di Bach è straordinaria proprio per lo studio delle strutture musicali – si potrebbe dire delle architetture – dei colori, delle possibilità combinatorie, delle concatenazioni logiche.
In particolare, la ricerca organistica Bach esplora non solo le possibilità dello strumento ma anche lo spazio architettonico delle chiese ed egli, alternando grappoli di note e silenzi, voleva riuscire a sgranocchiare gli armonici sotto le volte e negli angoli più remoti. Bisognerebbe possedere almeno un po’ della sua consapevolezza musicale unita ad una minima conoscenza del timbro risuonante nei luoghi ed una buona tecnica organistica per riuscire a esprimere qualcosa ma, tuttavia, il tentativo di descrivere quello che abbiamo udito lo faremo lo stesso.
Bach ama molto ricercare tra le note tenute, lo fa anche Mozart: ricercare i pensieri sottostanti alle melodie è, innanzitutto, lo studio del linguaggio utilizzato per comunicare. Ma egli ama anche il sovrapporsi dei colori sia nel tempo, attraverso la velocità di esecuzione, sia nell’intreccio, attraverso la sovrapposizione delle parti, sempre assolutamente geometrica, e il rispetto delle architetture: tra quei suoni fanno capolino i suoi pensieri.
Allora, in modo assolutamente irriverente parlerò del Trio Sonata VI BWV 530 in tre movimenti: il “vivace” è assolutamente gioioso, come un raggio di sole che filtra – preciso – da una vetrata e si ferma insolente “dentro” alla casa; il “lento” segue un puro pensiero evocativo e non vuole raggiungerlo per evitare di bloccarlo ma ne ascolta solo i passi; l’ “allegro” propone dapprima un risveglio, uno scuotimento, cui segue una riflessione fattiva.
La Fuga in Do minore BWV 574 è una riflessione sulla lontananza; il Preludio e Fuga in Re minore BWV 539 è un ricercare determinato e incessante dentro e fuori di sé; il Preludio e Fuga in Sol maggiore BWV 550 è una chiamata a raccolta di tutte le facoltà, perché bisogna essere attenti e capire; il Preludio e Fuga in Mi minore BWV 533 è invece l’espressione dello scoramento di fronte alla piccolezza umana da cui bisogna partire per ancorarsi ad un punto di riferimento; la Toccata e Fuga in Fa maggiore BWV 540, molto nota, è una dichiarazione di fede che esprime una sicurezza raggiunta quasi attraverso una dimostrazione geometrica.
L’organista, maestro Giampaolo Di Rosa, sembra un bel personaggio di romanzo, un rubacuori: giovane, avvenente, con il ciuffo leggermente scomposto nel bell’abito da pomeriggio e un vistoso fazzoletto nel taschino; per niente disturbato da un lungo andirivieni di pubblico. Si è seduto alla consolle ed ha iniziato a suonare praticamente senza concentrazione come un fabbro nel suo antro.
Non saprei dire se la sua interpretazione sia in qualche modo collegabile alle mie immagini; dico invece che ha dimostrato grande personalità scegliendo tempi, ritardi, accelerazioni senza esitare. Solo, non mi sono piaciuti: le evidenti trasgressioni dei tempi, soprattutto con la pedaliera (poca ginnastica?); ed i frequenti ed eccessivi “rubati”. Gli va meritatamente riconosciuta una grande capacità costruttiva, anche fisica, che evocava realmente le geometrie bachiane.
Ma è corretto pensare alla musica in termini concreti? Se ascoltando, ad esempio, l’aria per violino dalla seconda suite per orchestra che inizia con una lunghissima nota dei primi violini mentre gli altri archi, sottostanti, incominciano a dire alcune cose; è corretto pensare che quel giorno Bach, in cucina, sbucciava le patate, con calma ed era un giorno di sole tepido e lui era distratto perché piano, piano gli veniva alla mente un pensiero, un bel viso sorridente…
E so benissimo che Bach non le sbucciava le patate!
(pietro de santis)