Le donne del sesto piano

Le donne del sesto piano

le donne del sesto pianoOgni racconto è sempre autobiografico: ripete cose ascoltate, viste o vissute in prima persona, magari rimaste nascoste nell’inconscio per anni. Ma nessuno inventa nulla: tutt’al più, nell’inconscio si condensano fatti originariamente separati, se ne cambia l’ordine o si cambia la visione prospettica attribuendo maggiore attenzione a qualcosa trascurato precedentemente. Ma non c’è nulla di nuovo sotto il sole.

La storia, il film è diretto da Philippe Le Guay, è ambientata a Parigi all’inizio degli anni ’60, in una annoiata famiglia della borghesia, divisa tra il lavoro – dell’abbastanza maturo ed affermato agente di borsa Jean-Louis (Fabrice Luchini) – e la vita “demi monde” dell’insoddisfatta moglie Suzanne (Sandrine Kimberlaine), una biondina rigidamente composta.

Tutto procede con prevedibile regolarità fino a che non si manifesta un “clinamen”, uno spostamento: l’anziana domestica della famiglia Joubert (Michèle Gleizer) si ribella alla moglie del padrone, che impone troppi cambiamenti dopo la morte della signora madre, e viene licenziata.

Dopo una settimana di ménage disastroso, i coniugi Joubert si rivolgono al più rassicurante ufficio dell’impiego che conoscono: la parrocchia di quartiere, ed assumono Maria (Natalia Verbeke), una giovane spagnola appena arrivata da Burgos e ospite della zia Concepcion (Carmen Maura),  domestica molto stimata.

Oltre a rivoluzionare la casa da cima a fondo, la giovane spagnola ne sconvolge anche l’equilibrio:  Jean-Louis si infatua della forza d’animo della ragazza e delle signore del sesto piano – tutte domestiche che vivono negli abbaini in maniera spartana ma fortemente solidale – la cui energia gli si trasmette e lo irrobustisce. La moglie Suzanne, incarognita dal sospetto di un tradimento con una ricca cliente, lo mette alla porta e inconsapevolmente lo getta tra le braccia di Maria, visto che egli si rifugia nella propria soffitta del sesto piano e si ambienta in quel mondo di donne coraggiose, innamorandosene. Si tratta di un ritorno all’adolescenza, che tutti quanti abbiano superato i cinquanta anni auspicano, e di un ritrovato desiderio sessuale.
Oltre a lasciar immaginare un elenco di riferimenti teatrali e cinematografici, il film suscita curiosità sulle motivazioni del regista: a distanza di cinquanta anni dall’ambientazione storica, sembra proporre con garbo il problema del razzismo classista che ovviamente, al giorno d’oggi, non riguarda la Spagna, “sud del mondo” per la borghesia parigina di quel tempo, ma altre nazioni ed altre popolazioni che rappresentano il “sud del mondo” per la ben più misera cultura borghese attuale.

Il film risolve il problema del razzismo classista con la proposta dell’abbattimento delle barriere sociali: il protagonista si esalta nella novità di un “mondo antico” del quale apprezza dignità e forza d’animo; insegna i segreti degli investimenti in borsa alle donne del sesto piano, che arricchiscono (un poco) e insieme a lui realizzano i moderati sogni di successo sociale. Egli, abbandonata la  stanca ed annoiata routine borghese – nella quale il tempo non appartiene all’individuo, ma al gruppo sociale – si avventura in un universo povero di risorse economiche, ma generoso di emozioni e sentimenti (che equivalgono alla disponibilità del tempo).

Antecedenti teatrali e cinematografici non mancano: da “La governate” di Giuseppe Patroni Griffi (1965), a Teorema di Pier Paolo Pasolini (1968) fino al meno colto ma (probabilmente) più pertinente “Mary Poppins” (1964). In effetti questa celebre governante, che rivoluziona l’annoiata casa e stimola tutta la famiglia, descrive una figura più vicina a quelle donne del sesto piano: però il film di Disney è tanto perverso quanto questo di Le Guay risulta ingenuo.

Non mi voglio dilungare a parlare dello squallore razzista, della perversione e del qualunquismo profusi a piene mani nella maggior parte dei film e dei cartoni animati del celebre americano: piuttosto sottolineo l’ingenuità di Le Guay nell’immaginare la possibilità del “mondo felice” e della favola a lieto fine che si giustifica nell’ipotesi di una sostanziale originaria bontà d’animo dell’essere umano.

Ma non per niente le favole d’amore si interrompono al momento della dichiarazione  e si compiacciono dell’affermazione generica “vissero insieme felici e contenti”, senza indagare sul dopo. Invece mi è sempre sembrata sgangherata e illogica la pretesa di tanti mariti, di ritenere “strega” solo la moglie, oppure di tante mogli di considerare “imbecille” solo il marito, come se il malessere tipico di un rapporto coniugale si possa incarnare in un individuo specifico, salvaguardando così le “nuove fiamme” e le nuove promesse d’amore… ma tant’è.

L’elemento originale di questo film, ben recitato e diretto, è il riconscimento (quasi) consapevole del matriarcato: il tentativo di ribellione è del maschio e le donne della borghesia vi si oppongono, arroccate nel proprio potere sessuale ed economico. Finalmente Charles Bovary fugge dalla noiosissima Emma, dopo centocinquanta anni di attesa…

pietrodesantis

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