In dialogo con l’inconscio
Ricchezza e profondità del pensiero di C. G. Jung a 50 anni dalla morte. Saggi di Federico de Luca Comandini, Robert M. Mercurio, Daniele Ribola, Giulia Valerio, Claudio Widmann
“Solo l’amare, solo il conoscere
conta, non l’aver amato,
non l’aver conosciuto. Dà angoscia
il vivere di un consumato
amore. L’anima non cresce più.”
(Il pianto della scavatrice, dalla raccolta Le ceneri di Gramsci, Pier Paolo Pasolini, 1957)
In una disinvolta lettura psicoanalitica, potremmo immaginare “l’angoscia del vivere di un consumato amore” quale trasposizione in termini poetici della coazione a ripetere: riproporre insistentemente le immagini di un passato idealizzato, i cui chiaroscuri rinnovino la sofferenza. L’inclinazione umana – quale appare nel tessuto della società contemporanea, ordito da un modello consumistico – tende a dimenticare rapidamente il passato, consumato tout court, ritenendolo esaurito e più non attivo sul presente se non quale motivo di recriminazione erigendo, in questo modo, una prigione di inconsapevolezza.
Nella teoria psicologica di Carl Gustav Jung il passato e il presente sono perennemente fusi e confusi: l’aver amato e l’amare – separati dal poeta – divengono una cosa sola nella produzione continua di fantasie inconsce, interpretate e rese attuali dall’Io come simboli di nuove realizzazioni psichiche. Il carattere aperto della psiche si manifesta nella riproposizione del passato, che non risulta, però, ancorato all’inarrestabile identica ripetizione.
Per Jung, l’aver amato (passato) e l’amare (presente) costituiscono insieme un contenuto originario dell’inconscio “collettivo”; mentre la coscienza individuale, che li differenzia, non è che una manifestazione di quello. Il motore del divenire è la Libido, una specie di fluido che, riempiendo l’inconscio collettivo come un percorso di vasi comunicanti, permea ogni manifestazione umana sessualità inclusa, ma si diversifica nei singoli individui attraverso semplici trasformazioni simboliche. Questa base psicologico-metafisica è il punto di partenza della rilettura proposta dai cinque autori, che provano ad attualizzare alcuni temi del pensiero Junghiano.
In “Simboli della trascendenza”, de Luca Comandini riprende l’idea di annullamento degli opposti: passato e presente, inconscio e conscio non possiedono un significato proprio o assoluto né si definiscono attraverso la reciproca contrapposizione; essi sono un’espressione dell’Io cosciente. La ricchezza psichica complessiva risiede, secondo l’autore, nell’inconscio individuale e collettivo: essa andrà persa qualora non venga messo in discussione il ruolo dell’Io cosciente a favore di un’espressione che tenga conto degli opposti livelli psichici. Lo stesso autore, riteniamo in un eccesso di confidenza, sintetizza la differenza tra le teorie Freudiana e Junghiana come semplice scelta del mito fondante: Sigmund scelse Edipo Re; Carl Gustav, Eros e Psiche; spinti entrambi – se è lecito dire – da vicende personali. Il mito edipico, o “della presa di coscienza”, rafforza l’idea dell’Io (“…là dov’è l’Es dovrà essere l’Io”, L’Io e l’Es, S. Freud, 1923); il mito “psico-erotico” enfatizza invece le trasformazioni della libido “motivo fondante del sentimento della relazione, a livello interpersonale, sociale e politico” (pag. 62) attraverso una sorta di mistica panteista.
Giulia Valerio (Jung e i misteri dell’amore) cita le meditazioni sull’amore, la cui funzione sarebbe ricongiungere gli opposti (Animus e Anima; maschile e femminile). Il mistero dell’amore, in questa visione del mondo, va collocato e risolto là dove esso sorge, cioè nella psiche del singolo individuo. La Valerio ritiene che per Jung l’innamoramento costituisca la vera creazione del mondo, nel suo contenuto sociale, che si compie quando l’uomo trova nella donna l’immagine archetipica che egli porta dentro (non è specificato se valga un principio analogo per la donna). In base a quell’impulso profondo l’Io a rompe i propri confini e si spoglia di certezze ed onnipotenze: è la spinta del Sé a realizzarsi. È lecito avanzare qualche perplessità sulla completezza della teoria amorosa espressa dall’autrice – che, ad esempio, non prevede la possibilità dell’amore omosessuale se non come risultato di un complicatissimo gioco di specchi – nelle argomentazioni della quale notiamo anche una sorta di bisticcio tra Io cosciente ed inconscio: l’amore sorge dall’inconscio e tende ad annullare l’Io cosciente mentre questo percepisce il medesimo sentimento come espressione del proprio desiderio e della propria volontà. Conseguentemente l’Io cosciente si annullerebbe nel momento della massima consapevolezza. Spiega, comunque, la Valerio che l’inconscio spinge l’Io cosciente al ricongiungimento (con l’inconscio? con l’Altro?), ma questi fugge per non rinunciare alla propria individualità, offrendo una prospettiva ribaltata rispetto al mito di Eros e Psiche. Ci sembrano abbastanza deludenti anche altre riflessioni quali: “Tutte le funzioni anche quelle ritenute femminili hanno pari valore” (pag. 90); oppure “ Un comportamento razionale non ha mai sedotto il cuore di una donna” (pag. 91); che, proponendo un’evidenza pratica, sembrano limitare la ricerca ad un superficiale buon senso comune.
Il saggio “Jung tra civiltà dell’immagine e cultura dell’immagine”, di Claudio Widmann, si apre sottolineando come, nella psiche collettiva, il richiamo dell’immagine e la forza della rappresentazione siano una realtà ampiamente documentata; si potrebbe affermare, quindi, che l’attuale cultura dell’immagine non sia altro se non una manifestazione della psiche collettiva, però incontrollata e fuorviante perché “Il potere numinoso dell’immagine alimenta la sua strisciante dittatura, dove la visibilità è una priorità, il presenzialismo uno strumento, l’autocelebrazione una degenerazione narcisistica”(pag. 22). La dottrina dell’immagine di Jung si inquadra nella prospettiva dell’interazione “essenziale ed esistenziale” fra empirico ed archetipico, fra inconscio e coscienza. L’immagine è realtà psichica, la produzione immaginativa è psiche in divenire e le immagini dell’inconscio godono di pari realtà delle percezioni dell’Io. In ultima analisi la cultura dell’immagine costituirebbe la dimostrazione “a posteriori” delle teorie junghiane.
Luca Ribola, in “Entanglement” (groviglio), associa fisica e psicoanalisi nello studio dei legami di simultaneità tra coscienza ed inconscio. Egli sostiene la visione junghiana della nostalgia di una realtà primigenia (ancestrale o perinatale) in cui esista sincronicità (cioè sovrapposizione) tra conscio ed inconscio: i due stati in cui si manifesta la psiche sono collegati e coordinati tra loro dalla “conseintanietà”, cioè dalla comunanza di senso che “li contiene e forse li genera”.
Nell’ultimo saggio, “Dalla roccia all’acqua”, Robert Mercurio propone un elenco di ottimi consigli terapeutici, il primo dei quali è evitare l’identificazione del paziente con il disturbo che manifesta, poiché quest’ultimo tende a nascondere la vera natura della persona. Consonante con Jung, Mercurio afferma che bisogna avere rispetto per le genuine esperienze del numinoso che avvengono all’interno dell’individuo e per proteggere e valorizzare il mistero che si manifesta nella psiche. Lo sviluppo della personalità e lo stesso processo di individuazione altro non sarebbero che il dispiegarsi del mito (archetipo) in cui ogni individuo vive. Obiettivo finale della psicoanalisi è fare in modo che la coscienza riflessiva colga e rimandi all’inconscio le difficoltà che incontra nella vita, per poi mettersi in un atteggiamento di ascolto davanti all’inconscio (pag. 81).
Concludiamo segnalando il disorientamento suscitato dalle accelerazioni teoriche degli autori: data per certa la conoscenza delle teorie junghiane, lasciano all’intuito del lettore la giustificazione delle proprie affermazioni.
Il libro è pubblicato da Edizioni Magi, al prezzo di 16.00 €.
Pietro De Santis