Discalcul…che?
Gianluca non ha l’aspetto tipicamente informe dei maschi della sua età. Riesco a riferirmi a lui con l’appellativo – ragazzo –, senza ironizzare sul termine, eppure ha 13 anni.
È il primo di cinque fratelli: tre maschi e due femmine. La madre, all’apparenza, si dimostra una donna quieta ma carica di energie, totalmente impegnata nell’attività di casalinga e nel trasporto dei figli nelle varie attività sportive e ricreative che svolgono in orario extrascolastico.Godono di una discreta situazione economica; il padre ha intrapreso un’attività di smaltimento “materiale tossico” e “rifiuti speciali”, attività che, ad oggi, si dimostra assai remunerativa. Da quel che ho potuto comprendere è un padre fisicamente assente per l’intera settimana lavorativa, ma che i figli, soprattutto maschi, ricercano spesso; forse anche in virtù dei vari sport che praticano assieme durante il week-end. Sono accomunati dalla passione per il motocross, sport in cui Gianluca sembra eccellere, e lo sci.
La famiglia viaggia molto. Durante le vacanze natalizie, tutti assieme, si sono recati a Dubai; successivamente, i 5 figli e la sola madre, in Polonia, nella sua città di origine.
Gianluca è “discalculico” e dalla prima alla quinta elementare gli è affiancata un’ insegnante di sostegno anche per problemi con la vista. Approdato alle scuole medie, il ragazzo, rifiuta il sostegno, con un saldo “NO!”. I genitori non si oppongono, considerando il carattere estremamente testardo del figlio, e dichiarandosi implicitamente “vinti”dalle problematiche che scaturiscono ad ogni prova di contraddizione nei confronti del ragazzo. La sua situazione con la vista è decisamente migliorata.
Mi è oscuro quanto Gianluca abbia timore del padre e della propria madre; tra l’altro quest’ultima “si vanta” di impartirgli punizioni severe e senza remore.
Gli insegnanti delle scuole medie, come apprenderò dopo, non conoscono il suo trascorso di discalculia; e per lui non è previsto, senza sostegno, nessun piano scolastico differenziato.
In seconda media inizia a seguire – con quanta assiduità non so – ripetizioni di matematica con un’insegnate di zootecnia dell’Istituto Agrario: Andreina (che conosco in maniera abbastanza approfondita per affermare la sua ottima preparazione, e per la quale nutro una profonda stima a livello personale). Trascorso qualche mese Gianluca abbandona le ripetizioni con un ennesimo, secco, conciso “NO!”.
Il mio lavoro col ragazzo è iniziato in ritardo rispetto alla ripresa delle lezioni scolastiche di Settembre. Dopo aver trascorso con lui alcune ore, dilazionate in due incontri settimanali, decido di chiamare l’insegnate di matematica del secondo anno. Giovanna si dimostra ben disponibile a riferirmi non solo la personale opinione scolastica ed umana su Gianluca, problematiche comportamentali annesse, ma in generale su tutto il gruppo classe all’interno del quale è inserito; considerazioni non di scarso rilievo queste ultime, utili a me, almeno in parte, per comprendere le modalità di relazione che instaura.
Parlo lungamente con Giovanna, che mi riferisce dei problemi incontrati nell’anno scolastico: “Il programma di seconda media non è stato ultimato, quasi l’intera classe si dimostra incapace della risoluzione di un problema geometrico leggermente superiore al livello base, sembrano totalmente incapaci di pensiero logico astratto”.
Aggiungo io: sono in possesso di un libro di testo (“Matematix”) che non sarebbe giustificatamente adottabile neanche per un quinto liceo scientifico. Tra l’altro noto che quasi nessuno, perlomeno dei ragazzi che conosco, ha realmente interiorizzato uno degli argomenti imprescindibili della matematica della prima media: i segmenti e l’unità frazionaria. Argomenti questi, che ritroveranno sia nei problemi di geometria piana e solida, sia nell’ aritmetica dei tre anni.
Concludo la telefonata con un velo di perplessa amarezza; allontano i discorsi puramente “tecnici” per soffermarmi su di una frase pronunciata dall’insegnante: “Gianluca non ha un briciolo di stima in sé stesso e mi fa una grande tenerezza”.
Ripercorro brevemente le sensazioni che provo già sulla soglia del portone di casa, prima ancora di compiere un passo nell’appartamento caotico e polveroso.
Gianluca non è l’unico in casa ad avere problemi scolastici: il secondo se la cavicchia senza brillanti risultati. È un tipetto ironico e solare che ride di un bel cinque e se ne infischia di un discreto sette. Lo scorso anno ha avuto problemi di salute di non poco conto, e tuttora le sue analisi cliniche vanno costantemente monitorate.
Parlare di Gioele, il terzo figlio, equivale a sentirsi inerme e con le gambe immobilizzate nel cemento, di fronte un bambino, la cui tristezza mi fa indignare. Riesco a credere che abbia otto anni solo se non mi soffermo a percepire il modo “particolare” che ha di emettere suoni; non è un problema relativo al formulare frasi: sono i suoi accenti a colpirmi. Gioele è dislessico, disgrafico, discalculico, ed ha un enorme difficoltà nel calarsi nel normale contesto spazio-temporale. Agli sgoccioli della seconda elementare non ha raggiunto i requisiti minimi della prima; ma è questo un problema secondario se si ripercorre a ritroso la sua inquietudine interiore che ti conduce all’unica frase che rimbomba risonante: “Non ditemi più che ho sbagliato”.
Visitato dai più quotati esperti del settore della provincia, la diagnosi è univoca: DSA (disturbi specifici dell’apprendimento). Tuttavia, almeno secondo il parere dell’ultimo neuropsichiatra infantile, possiede grandi abilità cognitive, ragion per cui (legge 170/2010 sui DSA) non può essere previsto per lui un’insegnante di sostegno; in compenso, il brillante studioso lo ha liquidato con dei libri da lui metodologicamente elaborati, sui quali il bambino dovrebbe lavorare. Le maestre riferiscono di numerosi pianti a scuola, comprovati dalla madre in casa.
All’ingresso in ludoteca Gioele appare come un topolino che esce dalla tana, anche se si relaziona con tranquillità apparente ad i suoi amici; e con il suo euro in mano mi viene a cercare.
È nostra usanza, in ludoteca, scrivere il nome dei bambini presenti su di un quaderno, che servirà poi a me per la parte burocratica; di fianco al quaderno, quotidianamente, appoggio un foglio di carta bianca dove i bambini hanno imparato a scrivere da soli: il proprio nome, l’entità della moneta che posano, e la merenda che gradiscono; dai più grandi pretendo anche il conteggio del resto che devo restituire loro. Alle cinque mi reco di corsa al forno che è proprio accanto alla struttura.
Appena scorgo Gioele gli vado incontro con un bacio, se comprendo che non ne vuole mi astengo; prelevo rapidamente ma senza violenza, la monetina che tiene in mano mentre scherzando gli chiedo se il suo euro è il contributo alla mia pazienza:
“ no,….. la faccina!” (biscotto di pastafrolla farcito di nutella con tanto di Smarties raffiguranti gli occhi e decorato di zucchero)
Lo appunto velocemente e nel frattempo chiedo lui, se abbia scritto il nome sul quaderno; mi fa piacere pensare che in questo modo sia meno frustrante il dovere o non dovere chiedermi di scrivere per lui. Lo stesso tempismo devo utilizzarlo mentre sgrido l’intero gruppo.
Quando sono molto arrabbiata e nel giro di cinque secondi esigo la troupe al raduno, in un silenzio perentorio, mentre con voce gelida espongo le mie perplessità sulla dubbia condotta etica, morale e comportamentale nonché sociale di un branco di pecore al pascolo, evito di guardarlo direttamente negli occhi, ma il mio volto deve necessariamente posarsi anche su di lui. Il gioco si basa sul tempismo, e deve comunicare un solido “non sto sgridando personalmente te ma sei parte del gruppo”. Se sbaglio a dilazionare le frazioni di secondo le lacrime sono imminenti. A me dà l’idea di un pianto compulsivo.
La quart’ultima sorella è prossima alla scuola elementare. La ritengo molto sveglia e sin troppo autonoma, ma l’attaccamento più profondo di Gianluca è per Ilaria, la più piccola. Credo che egli, da sempre, sia stato caricato di responsabilità che, tra l‘altro, gestisce benissimo. Sin da subito con Gianluca mi sento tranquilla; ho compreso l’esatto punto di partenza per cominciare il lavoro: espressioni non frazionarie in primis, aggiungendo gradualmente prima gli esponenti, poi i numeri relativi e solo successivamente le frazioni. I monomi e polinomi li ha poi imparati da se.
Per il programma di geometria gli presento un problema su di un quadrato. Mi accusa di fargli fare cose che non gli servono e che comunque conosce, ma non trova il modo di calcolarmi la diagonale della figura geometrica, tramite la radice quadrata dell’area.
Mi accusa tra le altre cose, di mandarlo a scuola senza aver effettuato correttamente i compiti di geometria che gli vengono assegnati. Rispondo che la sua professoressa sa che, io, so risolvere i problemi di geometria: “Spiacente, Gianluca, non sono una tua pedina”.
Ogni volta che arrivo si presenta la stessa scena:
“…Non ho voglia di fare i compiti,
…finisco la partita a “mortal combact”,
…mancano solo 11 minuti”, avvisa strascinando le ultime vocali…..
Indubbiamente lo colpiscono le mie di “scene”:
“…Aspetto di là
quando hai fatto….
posso giocare anche io?
…intanto faccio merenda….
oggi non va neanche a me”, frasi che passano dallo stupore ad un presagio di amicizia, terminando in un: “Comunque due ore io sto qui. Troviamo il modo più consono di stare insieme”.
…Un giorno lo trovo seduto al tavolo: abbiamo mangiato wafer e giocato a fila 4 (ed io non lascio vincere di proposito neanche i bambini, mai).
A dicembre mi chiama al telefono la madre per comunicarmi che la verifica di matematica ha prodotto un bellissimo sei. Ma la parte migliore è che il bracciale che mi ha regalato, e che indosso, lo stava già preparando per me la settimana precedente il voto.
Capita che sia lui a venire a casa mia; le prime volte aveva il rifiuto totale: a casa sua si sente più protetto. La madre, in verità, lo punisce, ma lo giustifica, e la sua rimane una casa senza regole.
A casa mia valgono le mie di regole, e si sta adattando. A lui riverso i nomignoli più infantili di un mio personale, vasto e bizzarro repertorio; dopo mesi gli esce da ridere.
Provo per lui una sincera simpatia: la sua bellezza anche se non propriamente leggiadra, è per me disarmante: è furbo ed ironico; è energico.
Tra l’altro, tra tutti i bambini e ragazzi che seguo ed ho seguito, Gianluca è l’unico che, realmente, ha capito che io, di matematica, ne so quanto lui! Tutto quel che ho cercato di fare – e me ne accorgo solo ora scrivendo – è stato porgergli la chiave di quella gabbia che porta impresso lo stigma di Gianluca discalculico, gabbia in cui si sente protetto perché – appunto – giustificato.
Refrattaria a qualsiasi trappola verbale, che possa ridurre un essere umano ad una definizione, vedo in lui semplicemente Gianluca, senza vincoli di attributo; poiché si possono scorgere le sfumature anche in penombra.
anastasia gyorki