Il Naso
Opera satirica in tre atti da Gogol, di Dmitrij Šostakovjč
A Sant’Oreste, paesino vicino Roma, negli anni ’60 un famoso uomo politico, in forza alla Democrazia Cristiana, inviava un suo rappresentante a tenere discorsi elettorali con una curiosa premessa: consegnava a tutti i convenuti una scarpa sinistra promettendo di portare la destra, per completare il paio, ad avvenuta elezione. In un periodo in cui le scarpe costituivano un bene prezioso, si trattava di un valido espediente: le scarpe promesse dal parlamentare venivano probabilmente pagate con i soldi pubblici e perciò – direttamente o indirettamente – da coloro che le ricevevano attraverso mancati investimenti o servizi pubblici lasciati scadere.A quanto pare ancor oggi è bello credere al buon cuore dei potenti quando fingono di mettere mano al proprio portafogli… Il famoso politico aveva senz’altro “naso” per il tipo di promesse da fare; e coloro che, non avendo alcun potere personale lo invidiavano, ne erano estasiati: nonostante lasciasse quasi tutti poi con un “palmo di naso”, ad ogni elezione successiva si ripeteva lo stesso canovaccio e gli elettori, già precedentemente gabbati, tornavano a prestargli fede.
Il racconto di Gogol, tradotto in musica da Dmitrij Šostakovjč, in fondo tratta del medesimo argomento: il maggiore Platòn Kusmic Kavaliòf è temuto e rispettato, ma quando gli capita la disavventura di perdere il naso diventa uno qualunque, anzi peggio di uno qualunque: uno deriso ed evitato da tutti.
Per comprendere più realisticamente la dinamica musicale e teatrale immaginiamo perciò di ambientare l’opera a Sant’Oreste, adagiato su una collina a 30 chilometri da Roma lungo la via Flaminia.
L’onorevole xy, promette a tutti scarpe destre qualora venga rieletto: dal barbiere cura l’acconciatura invero un po’ povera di capelli, ma non è affatto contento delle “mani pulite” di quel professionista e lo rimprovera perché – “a naso” – si accorge che profumano.
Il barbiere infelice si ubriaca per dimenticare il rinprovero e cade addormentato. Al risveglio ha appetito e cerca le tartine al caviale e lo champagne regalatigli “a sua insaputa”: sotto una tartina, servita un momento prima dalla moglie, scopre con sconcerto un naso. Si sa che il naso, nell’inconscio, è una raffigurazione simbolica del pene (lo sapeva benissimo Gogol che scrisse di proposito il racconto): la moglie del barbiere caccia di casa il marito accusandolo – con la mania delle mani pulite – di avere ingiustamente privato della virilità l’onorevole xy che rischia di non poter più esibire quel simbolo di potere. Il barbiere tenta di eliminare l’imbarazzante prova della propria dabbenaggine, buttando il naso nel Tevere, che scorre lì vicino nei pressi di Filacciano, ma un brigadiere lo ferma chiedendogli conto delle sue azioni.
Nel frattempo il politico xy, che ama andare a cavallo e regalare scarpe sinistre, ha scoperto risvegliandosi di essere privo del naso (cioè di non avere più potere) e corre fuori di sé al commissariato accusando i suoi avversari politici di averlo frodato. Passando davanti al palazzo presidenziale scorge tra i convenuti uno che espone il suo naso ribelle, vestito da Consigliere di stato. Imbarazzato dall’attuale impotenza, xy avanza un timido reclamo verso il presidente, il quale gli gira le spalle apostrofandolo sdegnosamente.
Dal momento che anche il commissario di polizia lo ignora, xy si risolve a pubblicare un annuncio sul giornale che generalmente gli concede ampi spazi. Nella redazione l’impiegato, constatata l’assenza del naso, non gli dà più retta e rifiuta di inserire la richiesta di restituzione per non compromettere la serietà della testata. Tornato al suo appartamento xy è abbattuto per la miserabile situazione che lo specchio dell’opinione pubblica gli conferma per l’ennesima volta.
Intanto la polizia si mobilita per impedire che il prezioso naso consigliere di stato lasci Sant’Oreste, e si impegni piuttosto a servire la giusta causa del potere. Alla stazioncina sulla via Flaminia il commissario osserva il via vai della folla. Mentre il capostazione dà il segnale il naso, nelle vesti di consigliere di stato, si slancia per prendere una carrozza in partenza, ma un brigadiere cerca di agguantarlo. Il naso-consigliere scappa, braccato da un nugolo di inseguitori che ambiscono tutti al potere. Alla fine del parapiglia, l’insolito gentiluomo scompare e rimane solo un naso nelle mani di una vecchia signora, precedentemente fatta eleggere in parlamento dall’onorevole xy.
La scena successiva è sdoppiata sul palcoscenico: da un lato si vede l’appartamento di xy, dall’altro quello della vedova wz madre di una avvenente ragazza. Xy ringrazia il brigadiere per avergli riportato il naso, ma non riesce a rimetterlo a posto, né giova l’intervento di un medico gonfio di prosopopea. Xy sospetta la vedova wz, una donna napoletana in odore di camorra, di avergli fatto il malocchio perché non ha accettato di sposarne la figlia; perciò prega un amico fidato di scriverle una lettera in cui le intimi di fargli tornare l’aspetto di prima. La signora replica, equivocando il significato della lettera, meravigliata per gli ingiusti rimproveri: conferma invece ad xy di essere disposta ad accettarlo anche come amante della prosperosa figlia. Ciò sarebbe sufficiente a fargli recuperare di fronte all’opinione pubblica almeno il potere sessuale perduto ed il naso farebbe di nuovo la sua bella figura al posto giusto. L’onorevole xy, fatti due conti, pensa che gli conviene: prometterà altre scarpe sinistre che, nel caso fosse eletto, non pagherebbe lui mentre, nel caso non fosse eletto, non sarebbe tenuto a regalare. Perciò annuncia il fidanzamento con la procace figlia della vedova wz. Tutta Sant’Oreste parla ormai della vicenda e i curiosi sbirciano dappertutto per vedere il famoso naso, che si dice se ne vada in giro da solo, nella speranza di abbrancarlo. Senonché il naso è ritornato al suo posto, sul volto di xy il quale, ritrovata la virilità, riprende la vita di sempre, rasato dal barbiere le cui mani ora puzzano un po’. Durante una passeggiata l’onorevole xy incontra la signora wz che pretende il rispetto delle promesse. Ma xy, dopo averla salutata, comincia a fare la corte a una graziosa venditrice ambulante e continua la passeggiata, riverito da tutti, orgoglioso del naso ritrovato.
La nostra delirante trasposizione differisce di poco dal testo esatto dell’opera: solo i nomi sono inventati e il luogo geografico. Il resto è identico.
Il clima culturale nel quale fu creato Il naso (nel 1928) era già irrimediabilmente cambiato due anni dopo, all’epoca della prima rappresentazione (1930). L’effetto della musicalmente incredibile opera di Šostakovic arrivò fuori tempo e fu simile «a una bomba a mano scagliata da un anarchico»; dopo 13 rappresentazioni l’opera venne censurata per associazione sovversiva implicita. Del Naso non si riparlò più in Russia fino al 1974, anno della sua ripresa al Teatro da camera di Mosca; in Italia l’opera era arrivata nel 1964 al Maggio musicale fiorentino con la regia di Eduardo De Filippo. La vicenda, ambientata all’epoca dello zar Nicola I, segue fedelmente il racconto da cui sono tratti quasi testualmente i dialoghi. Furono incluse invece scene supplementari, assenti nel testo originale, come la caccia al naso nella stazione di posta (stazione di sant’Oreste nel nostro resoconto delirante), utilizzando altri testi di Gogol’ (Le anime morte, Taras Bul’ba, Proprietari d’altri tempi, Diario di un pazzo, Il matrimonio…)
Il naso è un’opera musical teatrale carica di ‘estremismi’, che spinge la rappresentazione della vita quotidiana fino al grottesco. L’allestimento appare più grottesco dell’originale letterario in quanto, all’epoca di Gogol, il tema del naso costituiva un motivo giornalistico ricorrente per i doppi sensi sessuali con i quali divertire i lettori. Il ritmo teatrale impresso al racconto è forsennato ed imita una successione di immagini cinematografiche; l’uso della voce è originalissimo e si estende dal parlato ritmico al canto melodico fino al rumorismo; l’uso delle diverse forme musicali è assolutamente disinibito con temi ballabili che si alternano al contrappunto più pignolo o a suoni quasi incomprensibili. In virtù di questi espedienti i personaggi sembrano comportarsi come automi privi di libertà, incalzati dal ritmo di una macchina sonora.
La disposizione dell’orchestra nel golfo mistico rompe gli schemi tradizionali al fine di “sconcertare” e produrre effetti musicali anarchizzanti: piccolissimi nuclei sonori; effetti timbrici instabili, generati a catena da strumenti singoli o in concertini. L’intonazione della parola e l’espressione musicale si sovrappongono seguendo l’intenzione dell’autore di scambiare strumenti e personaggi. Un ruolo fondamentale è recitato dalle percussioni – Šostakovjč era innamorato del jazz – che conferiscono asprezza alla vicenda: la musica non concede mai riposo e ne è un esempio l’intermezzo eseguito dalle percussioni non intonate.
L’allestimento teatrale è un’opera titanica: 78 personaggi compaiono sul palcoscenico e rendono necessaria almeno una quarantina di cantanti versatili (nell’edizione vista al Teatro dell’Opera di Roma ne sono impegnati 50); inoltre si richiedono continui cambi di scena.
L’edizione romana, cui abbiamo assistito molto scomodamente, è stata bellissima ma, per un’opera come questa, sarebbe opportuna una riduzione dei posti a sedere: i palchi laterali andrebbero riservati solo a due spettatori per ogni settore in quanto, sia per il feroce tessuto musicale che non lascia tregua sia per il meccanismo scenografico e registico – che è essenziale osservare costantemente per apprezzare appieno lo spettacolo – è necessario per lo spettatore fruire di una visione totale del palcoscenico. L’orecchio non permette mai il riposo né della vista né dell’intelletto per l’assenza delle “tipiche” arie che lo consentono.
Grande è stato il lavoro del direttore d’orchestra Alejo Pèrez ma, forse, ancor più rilevante quello del regista Peter Stein. Tutti i cantanti hanno risposto in maniera eccellente, ma vanno giustamente menzionati almeno i principali protagonisti: Paulo Szot (baritono) nel ruolo principale di Platòn Kusmic Kavaliòf; Alexander Teliga (basso) in quello del barbiere Ivàn Jacovlevič e Leonid Bomstein (tenore) nel Naso. Elena Zilio (soprano) interpretava la vedova Pelagia Podočina. Il Naso è però un’opera corale nella quale tutti gli interpreti ed i danzatori vanno accomunati in un complessivo applauso. Notevoli le soluzioni scenografiche di Ferdinand Wögerbauer: per citarne due, la lunga passeggiata di Platòn in senso contrario al flusso dei passanti, effettuata su di un tapis roulant al centro della scena; e le collocazioni dei vari interni contemporaneamente rappresentati a differenti livelli di un praticabile innalzato sul palcoscenico.
Abbiamo ritrovato nella messa in scena lo spirito russo, da noi altre volte assaporato attraverso vari autori di differenti epoche e discipline artistiche: da Gogol a Bulgakov; da Chagall a Kandinskij; da Prokofev a Stravinskij. Una tempesta di applausi ha ricoperto tutti.
Musica: Dmitrij Šostakovič
Libretto: Yevgeni Zamyatin, Georgi Lonin, Alexander Preis e Dmitrij Šostakovič
Composizione: Leningrado, 24 Giugno 1928
Prima rappresentazione scenica: Leningrado, Malyi Gosudarstvennij Akademicjeskij Opernij Teatr (“MALEGOT”, Piccolo Teatro Accademico Nazionale d’Opera), 18 gennaio 1930
(pietrodesantis)