Ramin Bahrami suona Bach
Il maestro Sandro Gindro a chi gli rivolgeva la domanda, su chi fosse stato il più grande musicista di tutti i tempi, rispondeva il nome Bach: compositore pienamente calato nel suo tempo. Rispondeva così anche per spiazzare quanti erano consapevoli del suo amore per Mozart, il più grande artista di tutti i tempi, al di fuori di ogni tempo. Quella preferenza mi ha fatto sempre piacere perché io ho iniziato ad amare la musica attraverso Bach – accadde il primo gennaio di quarant’anni fa – quando, ospite nel seicentesco convento in cima al monte Soratte quella notte avvolto da un cielo rigonfio di stelle, un amico pianista eseguì all’armonium la Toccata e Fuga in re min (BWV 565). Mi entusiasmavano le differenti voci di quella musica, che si rincorrevano, si chiamavano, si rispondevano proponendo idee, scherzi, sussurri, passioni improvvise. Forte di questi amorosi ricordi sono accorso martedì 19 febbraio al concerto del pianista Ramin Baharami che suonava Bach con l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta dal giovane Andrea Battistoni. Il programma prevedeva la Suite n.3 per orchestra (BWV 1068), il Concerto in fa minore (BWV 1056) ed il meraviglioso Concerto in re minore (BWV 1052). La seconda parte avrebbe offerto un brano di Musorgskij, altrettanto famoso: Quadri da un’esposizione, nella versione orchestrale di Ravel. Il programma di sala ha citato una frase di Baharami: “…Johann Sebastian Bach assomiglia al mondo che immagino ancora possibile. È un compositore tedesco, ma si innamora del ritmo Siciliano, dove sono presenti influssi arabi; la Ciaccona è una danza che nasce nell’America Centrale; unisce rigore e fantasia, ascolta, restituisce restando se stesso; collega, non separa; ha la mente e il cuore aperti; magari la sua musica potesse parlare ai politici!”. La frase è piena di entusiasmi, ma in fondo un po’ ingenua visto che il panorama geopolitico della metà del ‘600 era assai meno schematico di quanto non sia ora, essendo le masse popolari – di allora – meno manovrabili dai potentati dei mezzi di comunicazione. Ma tant’è, il sogno di Baharami è comunque un bel sogno e lo ha portato ad essere tra i maggiori interpreti bachiani del mondo.
Andando in ordine di apparizione sul palco, ci ha destato un’enorme impressione Andrea Battistoni, impegnato a inizio di serata nella direzione della terza Suite per orchestra (quella divenuta famosa per l’ “Aria sulla Quarta Corda”): lo abbiamo accolto con diffidenza quando si è presentato sul podio a mani nude, cioè senza bacchetta, gesticolante come una marionetta in ogni direzione per 180° e dall’alto verso il basso. Ma osservando e ascoltando, con attenzione critica, abbiamo notato che l’orchestra seguiva rigorosamente quei gesti all’apparenza esagitati, restituendo un suono preciso, corposo, espressivo e duttile. Il giovane direttore ci muoveva al sorriso ma, solo dopo qualche minuto, abbiamo cominciato ad intendere il significato dei suoi gesti ed il valore filologico della sua scelta. Diciamo, solo, che non ci siamo trovati d’accordo nella scelta del tempo d’esecuzione della famosa aria (secondo movimento), a nostro giudizio un po’ troppo rapido per la meditazione di cui necessita, anche se la suite di cui fa parte è un insieme di danze. La definizione di “aria sulla quarta corda” attribuitagli è impropria ed è legata al nome di un violinista tedesco, August Wilelmj, che trasportò a Do maggiore il brano, per abbassarlo di un’ottava in modo da poter essere eseguito tutto sulla quarta corda: al grande pubblico italiano è nota la versione jazz dell’Aria, usata come sigla di una trasmissione televisiva.
I concerti per clavicembalo ed archi di Bach sono arrangiamenti da pezzi composti in una precedente versione per violino, oboe o flauto, e orchestra, scritti a Cöthen tra il 1717 ed il 1723: nella maggior parte dei casi gli originali sono andati perduti e ne resta solo la trascrizione per clavicembalo che, ai nostri giorni, viene sovente eseguita al pianoforte. Baharami ne ha dato una valida interpretazione: del concerto in fa minore (BWV 1056) ha manifestato correttamente il carattere più aggressivo e drammatico rispetto al concerto in re minore (BWV 1052), più meditativo e colloquiale, che a noi è sembrato molto ben eseguito eccetto per i tempi un po’ rapidi, che rispettano invero la scrittura originale – pensata per uno strumento la cui persistenza sonora è labile (cioè i suoni si attenuano rapidamente) – ma non del tutto adeguati per il pianoforte, strumento dalle caratteristiche timbriche più persistenti; lo affermiamo anche a dispetto delle intenzioni originarie del compositore che doveva, però, adeguarsi a compagini orchestrali più esigue, i cui armonici si esaurivano rapidamente rispetto alla folta compagine dell’Orchestra di Santa Cecilia. Detto questo, l’esecuzione ci è sembrata espressiva, precisa, in perfetto dialogo con gli archi, in un impasto sonoro ricco di sfumature per merito del solista e del direttore, e grazie alla duttilità dell’orchestra.
Gli studiosi ritengono che il concerto in re minore per clavicembalo sia basato su un perduto concerto in re minore per violino, successivamente arrangiato come concerto d’organo: fu uno dei più popolari concerti di Bach e divenne famoso nel XIX secolo grazie all’esecuzione di Felix Mendelsshon, e di Brahams, che compose una cadenza di esso.
Alla fine della prima parte del programma Ramin Baharami ha concesso al pubblico romano tre bis molto applauditi (soprattutto il terzo, un’aria dalle variazioni Goldberg sempre di Bach).
La seconda parte del programma proponeva Quadri da un’esposizione – Ricordo di Viktor Hartmann (1874), una suite per pianoforte di Modest Petrovič Musorgskij nell’arrangiamento per orchestra sinfonica “gigantesca” di Maurice Ravel. La dedica è riferita ad un giovane pittore, amico del compositore, morto improvvisamente: l’opera si ispira a disegni ed acquerelli prodotti da Hartmann nel corso di viaggi. La maggior parte di quei lavori è andata perduta ed è impossibile identificare con certezza le opere cui si ispirò Musorgskij: dieci episodi musicali ispirati ai quadri e cinque Promenades (passeggiate) musicali, che accompagnano il movimento dell’osservatore da una tela all’altra. Le Promenades presentano sempre lo stesso tema, con variazioni più o meno sensibili, e fungono da elemento di coesione nella composizione, episodica e basata su forti contrasti tra un soggetto e l’altro. L’opera presenta molti caratteri fortemente innovativi che anticipano la musica del Novecento proponendo l’uso massiccio di pedali (suoni lungamente tenuti) e accordi dissonanti.
Il tema delle “Promenade” è una melodia il cui ritmo richiama canzoni popolari russe; “lo gnomo”, nano malvagio della foresta, propone un motivo caratterizzato da tempi contrastanti, fermate e riprese, e un alternarsi di forte, pianissimo e fortissimo; “Il vecchio castello in Italia”, rappresenta un trovatore che intona una canzone d’amore dal tono melanconico e trasognato, in movimento di barcarola, sottolineato da crescendo e diminuendo la cui melodia è affidata ad un sassofono contralto; “Tuileries (Litigio di fanciulli dopo il gioco)” è un motivo basato su tipiche canzoncine infantili; “Bydło”, caratteristico carro dei contadini polacchi, è un brano in crescendo fino all’assordante che poi si attenua e si perde in lontananza; il “Balletto dei pulcini nei loro gusci” presenta acciaccature quasi in ogni battuta e molteplici abbellimenti che indicano i movimenti dei pulcini; “Samuel Goldenberg e Schmuÿle si incontrano” è un brano in cui prevale l’uso dell’intervallo di terza minore per richiamare la musica ebrea, così come la scala dominante Frigia; “Limoges, il mercato (La grande notizia)” è uno scherzo in forma tripartita; “Catacombe (Sepolcro romano) – Con i morti in una lingua morta” è una melodia strutturata in due parti un Largo, sequenza di accordi, e un cupo e fluente Andante; “La capanna sulle zampe di gallina (Baba-Yaga)” è un motivo che intende descrivere l’essere grottesco raffigurato come orologio a cucù su zampe di gallina, in forma di scherzo con una sezione centrale lenta che presenta i rintocchi di un grande orologio ed i suoni di un inseguimento frenetico; “la grande porta (nella capitale Kiev)” presenta un grandioso tema principale e un solenne tema secondario basati su un inno battesimale della Chiesa ortodossa russa.
L’esecuzione di Quadri da un’esposizione, nella trionfante orchestrazione di Ravel, ha mostrato la pregevole capacità esecutiva ed espressiva del direttore e delle sezioni orchestrali, le cui prime parti sono lungamente applaudite, anzi quasi osannante dal pubblico. Battistoni ha avuto il merito di esaltare al massimo i molteplici caratteri dell’opera, complessa ed articolata, trovando l’equilibrio tra ottoni, archi, legni e percussioni ed attribuendo la giusta durata alle pause musicali, così da consentire allo spettatore la completa intelligenza dei differenti episodi. Un concerto esaltante. (pietrodesantis)