La guerra è finita!
Liberamente tratto da “Romeo e Giulietta” di Shakespeare. Drammaturgia e regia di Stefano Leva
“La vita è sogno” ed il teatro è il sogno di un sogno. Per lo spettacolo, messo in scena sabato 6 aprile sul palcoscenico del Teatro Comunale di Morrovalle dalla Compagnia delle Rane, si è trattato più che altro un delirio.
Siamo rimasti sconcertati dalla confusione prodotta nel testo – emerso da un forsennato copia e incolla – nel quale episodi marginali sono diventati il centro di gravità del dramma, mentre si è dissolto nel nulla il complesso intreccio drammatico e lo spessore umano dei personaggi.
Romeo è diventato una specie di “bamboccione” che, non trovando impiego fisso, se ne va a “zonzo” per la città con l’intenzione di “rimorchiare”; Giulietta è una specie di iena petulante ed ululante; Mercuzio, un attaccabrighe con problemi di impotenza; Tebaldo, un bullo di quartiere; della nutrice, ormai superflua nei resti del testo shakespeariano, non si capisce il ruolo comico o drammatico; la madre Capuleti sembra retrocessa al rango di vicina di casa impicciona; il padre Capuleti è un organizzatore di party colluso con la mafia del Brenta.
Una riflessione a parte merita Mab, regina delle fate cui spetterebbe solo la citazione di Mercuzio, per lo meno nel testo originale: “Vi racconterò della regina Mab… lei è la levatrice delle fate e viene in forma non più grossa di una pietra d’agata sull’indice di un assessore ed è tirata da un equipaggio di piccoli atomi sui nasi degli uomini mentre sono addormentati ….E in questo stato ella galoppa tutta la notte dentro i cervelli degli amanti…che poi sognano amore…”.
Il taglia e cuci sbrigativo l’ha trasformata in un personaggio presente e vivo: è il coro, che descrive l’antefatto e lo sviluppo della storia; è un vigile urbano con fischietto che dirige il traffico pedonale; ma è anche un’istruttrice di ginnastica pre-agonistica; oltre a rappresentare il destino e, ancor prima, una bella ragazza che va in giro senza scarpe. Naturalmente Verona potrebbe essere una località balneare dove si ballano il tango e la pizzica.
Nello spettacolo che dura quarantacinque minuti, ottenuto spremendo il testo piuttosto complesso la cui messa in scena arriva generalmente alle tre ore, due episodi “fondamentali” occupano da soli una ventina di minuti: la ridicola rissa tra Mercuzio e Tebaldo dalla quale, non si sa perché, sono stati banditi i coltelli preferendo lo strangolamento a mani nude – e durante la quale tutti i presenti (che sono solo Romeo e la Nutrice) vorrebbero intervenire ma rimangono rigorosamente immobili –; e la presunta scena d’amore tra Romeo e Giulietta che consiste nel “ballo del mattone”, a piedi nudi (lei), dietro un velario che rappresenta la quarta parete. Nell’intelligenza di quest’ultimo episodio, torna comodo il riferimento al feticismo del piede caro alla metapsicologia freudiana.
Nel drammatico sottofinale tutti i personaggi, sopravvissuti e non – visto che nel teatro è tutto possibile, ricompaiono anche Mercuzio e Tebaldo – si dispongono in una veglia funebre davanti ai corpi dei due giovani amanti coperti da un velo trasparente e, battendosi il petto, giurano che la guerra finita.
Sul palcoscenico, gli attori si sono mossi con difficoltà, come pesci nell’acquario, non potendo fare più quanto non abbiano fatto: d’altronde, a causa dell’incredibile confusione complessiva, tutte le parole comunque declamate risultavano vuote. (Ad esempio: il giuramento della nutrice sui propri quattordici denti, confessando poi di possederne solo quattro, perde di significato se abiti e borsetta che indossa sono l’emblema della piccola borghesia di oggi; ed il linguaggio “aulico” nei dialoghi tra Romeo e Giulietta rimane inespressivo se la ragazza indossa scarponi militari mentre l’altoparlante diffonde musica rock.)
Ho parlato di sottofinale perché il finale vero ci è parso il discorso spinoso – nel frattempo aveva ricevuto in omaggio un mazzo di rose – della presidente della Compagnia delle Rane. Preferiamo invece stendere il velo pietoso, tolto ai giovani amanti, sul pistolotto morale fatto dal rappresentante delle istituzioni.
Avendo doverosamente ironizzato intorno a quanto visto ed udito, vogliamo però abbracciare con affetto vero e simpatia autentica gli attori: Luca Capezzani, Liliana Ciccarelli, Eva Delmonte, Graziella Del Monte, Giampaolo Fermanelli, Michele Palmieri, Noam Prosperi, Nicoletta Vitali; i tecnici Federico Mancini e Lorenzo Vennitti; l’assistente di scena Federica Sacchini e tutti gli altri componenti della compagnia che hanno collaborato in ogni possibile modo; ma spingiamo il coltello sino in fondo consigliando al regista, che in altra occasione non ci era dispiaciuto, di non ripetere una simile prova: “Guai a chi inventa i sogni!”