Quando c’era Berlinguer
soggetto e regia di Walter Veltroni
Sono passati trent’anni dalla morte di Enrico Berlinguer, avvenuta a Padova l’undici giugno 1984, e anche dalla fine del partito comunista italiano – sostiene l’autore del film –; e se sono in pochi coloro che, tra le nuove generazioni, sappiano rispondere alla domanda: “Chi era Berlinguer?”, ciò è dovuto anche alla scomparsa dell’ideale comunista ma, forse ancor di più, alla scomparsa degli ideali sociali in genere. Che quest’ultimo fenomeno possa essere correlato all’incredibile offensiva scatenata contro i regimi comunisti da Karol Wojtyla non è escluso anche perché, come sempre accade, se scompare un dualismo scompaiono anche gli ideali che lo sostengono: ciò non è necessariamente un male. Comunque Walter Veltroni presenta un Enrico Berlinguer – ricostruito attraverso immagini di repertorio e interviste a chi l’ha conosciuto, ha vissuto e lavorato al suo fianco – senza riuscire a sottrarsi alla classica e spesso banale retorica del “come eravamo”.
Che l’intento sia retorico sembra confermato dalla scarsa attenzione alla vita personale e per la marcata attenzione per la vita professionale del leader, che forse è stato il più amato tra i segretari del partito comunista italiano; sicuramente il più votato.
Quando c’era Berlinguer dipinge il protagonista come un ribelle, un innovatore solitario, coraggioso, capace di opporsi al soviet a rischio della vita e di negare alcuni assunti del comunismo storico ottenendo in premio un’impressionante percentuale di voti, fino al massimo del 35% nelle elezioni del 1976.
Rimanendo nell’alveo dell’analisi politica che il film propone, la figura di Berlinguer appare coerente ed illuminata, consapevole che il bene nazionale dell’Italia comportasse persino la rinuncia alle ambizioni di governo in un mondo, quello della guerra fredda, più propenso ai golp fascisti – che amichevolmente protendevano la mano verso le multinazionali – che ad una autentica democrazia. Convinto del “vizietto” americano, un Berlinguer votato al sacrificio, perfino quello personale, propone forse un’immagine troppo forte anche se non priva di coerenza. D’altronde lo stesso Palmiro Togliatti, per quanto leale partner del soviet, comprendeva la logica della spartizione europea, stabilita nella famosa conferenza di Jalta, per la quale l’Italia era assegnata al blocco occidentale.
Tra interviste a giovani inconsapevoli e a testimoni d’eccezione si dipana una storia, dapprima rapidissima fino agli anni sessanta poi dettagliata soprattutto per gli anni settanta, che non risparmia retoriche ed ingenuità proponendo documenti citati a proposito (ma talvolta anche a sproposito) e saltando da un epilogo sadico – con le immagini del comizio di Padova del 7 giugno 1984 durante il quale Berlinguer venne colpito da un ictus – ad un sottofinale ridicolo in cui si vede la barca da pescatori bianca e verde del leader, navigare senza più il timoniere: un riferimento al partito comunista? I due filmati sono giustapposti dal regista grazie una logica piuttosto stramba: nella data dell’11 giugno, in cui riccorre il trentennale della morte di Berlinguer, ma 214 anni prima (1770) la nave Endeavour di James Cook si incagliò nella grande barriera corallina (!). Cosa ci azzecca? Chiedebbe un lungimirante uomo politico.
Nel finale degno di “American Graffiti” si rivedono le immagini degli intervistati d’eccezione corredate dalla didascalia che specifica la loro attuale condizione: Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica; Bianca Berlinguer, figlia; etc.
Il film è noioso e non premia la curiosità suscitata dai documenti storici né il desiderio vanitoso di scoprire la propria fisionomia tra le immagini filmate.
pietrodesantis