Twist
Tra il 29 ed il 30 marzo ho fatto questo sogno: ero nella grande villa di campagna di un mio amico e, tra le altre persone, c’era una donna bionda e affascinante. Non ricordo quale fosse la relazione della donna con il luogo, un’amicizia oppure un flirt con il mio amico: si trattava, però, di una persona che aveva acquisito un potere. Io l’affrontavo dicendole che era riuscita nel suo intento con l’inganno, fingendo sentimenti inesistenti. Poi, seduto a tavola in compagnia di altri amici, criticavo la donna in questione, accusandola di arrivismo. Al risveglio mi sono interrogato sul significato del sogno che, di certo, era collegato con lo spettacolo visto: “Twist” di Clive Exton, messo in scena dalla Compagnia delle Rane nel Teatro Comunale di Morrovalle, per la regia di Stefano Leva.
Un uomo, ha nascosto alla madre gelosa il proprio matrimonio e di conseguenza, per evitare di offenderla, anche la madre alla moglie. È il tema da cui parte la commedia. Lo sviluppo è inevitabile: al malcapitato, in mezzo fra due donne, non possono venirne che guai.
Clive Exton, l’autore di questa pièce, immagina un villino di campagna, dove Roy Lewis (Giampaolo Fermanelli) s’incontra una volta al mese con la madre Molly rimasta vedova (Liliana Ciccarelli), opprimente e incontentabile, a cui non ha mai avuto il coraggio di rivelare la relazione con Juno (Eva Delmonte) e le successive nozze. Sotto il medesimo tetto, a sua insaputa, vengono ad amoreggiare anche la sua segretaria Erica (Nicoletta Vitali) ed il socio (Michele Palmieri), amante pure di Juno. Così una sera, il malcapitato protagonista si ritrova: la segretaria in baby doll, inseguita da un marito furioso (Noam Prosperi); la madre petulante e ficcanaso; la moglie prepotente, avvertita da una telefonata anonima; il socio donnaiolo. La scena è dotata di ben sette porte, tutte praticabili e praticate, per consentire entrate ed uscite a pieno ritmo, come nei migliori vaudeville. Il disgraziato Roy si trova nella necessità di tener buoni tutti gli invasori per non disorientare Molly, mentre tutti si studiano con sospetto. Tenta di mandarne via qualcuno per semplificare la situazione ma, intanto, mente a tutto spiano per nascondere le rispettive identità. Quando una bugia incomincia a vacillare, ne inventa altre, alla bell’e meglio, cedendo spazio per guadagnare tempo, come un generale russo. Alla fine tutti inseguono tutti, e Roy decide di sottrarsi al gioco, abbandonando moglie e madre per fuggire con la segretaria, in apparenza dolce e oca. Scrive Exton: L’idea di “Twist” deriva da un mito popolare moderno: la triplice relazione Madre-Figlio-Nuora.”
Il testo, divertente, trae energia dall’eclissi paterna che genera l’equazione: scomparsa del padre uguale responsabilità dell’uomo rimanente, cioè del figlio; ma l’equazione varrebbe anche per la figlia in “mancanza di meglio” (alcune mie amiche ne sanno qualcosa). La mitica relazione di cui sopra – la cui potenza è pari al Totem di freudiana memoria – si sostiene su di una semplice questione: a chi appartiene il “fallo” della famiglia? (cioè il pene del figlio). La moglie ne rivendica il diritto acquisito (lo ha sedotto); la madre ne rivendica il diritto storico (lo ha partorito); il diritto del figlio in questione è, invece, puramente fisiologico: gli sta attaccato al basso ventre. Ma proprio in base a quest’ultimo motivo, l’intero corpo del malcapitato diviene terreno di lotta. Nel caso in cui non vi sia un figlio ma una figlia, allora preciso dovere di quest’ultima diviene quello di procurare un uomo alla famiglia: qualsiasi alternativa ne sancirebbe il fallimento.
ll nucleo della questione sta tutto qui: il figlio non è consapevole di essere “anche” un portacandele, ma inconsapevolmente fonda la propria individualità nell’essere “solo” un portacandele.
La soluzione pensata da Exton è quella di un “fallo ex machina”, così potente da sconvolgere i precedenti equilibri: la figura dell’energumeno geloso, che rincorre tutti e che tutti rincorrono. La giravolta che ne deriva lascia lo spazio a Roy per uscire di scena insieme alla bella segretaria ochetta.
Abbiamo apprezzato gli attori della Compagnia delle Rane ben preparati e bravi: soprattutto i tre protagonisti principali (Roy, Erica e Molly) hanno tenuto un ritmo indiavolato, quasi senza pensare, proprio come richiesto dal testo fondato sull’inconsapevolezza. Tuttavia anche il non pensare dovrebbe avere dei respiri, per essere pienamente efficace, all’interno dei quali lo spettatore possa sospettare l’inizio di un pensiero, che i personaggi stiano per rendersi conto di qualcosa di sé e del proprio carattere, ma poi scivolino di nuovo nella superficialità. Le protagoniste, Molly (Liliana Ciccarelli) ed Erica (Nicoletta Vitali dalla curiosa vocalità), in alcuni momenti riescono nell’intento, tirando fuori farina dal proprio sacco: però crediamo che la regia avrebbe potuto aiutarle di più per eliminare qualche “scollamento” tra differenti situazioni – in particolare all’ingresso di ogni nuovo personaggio – simili a salti logici. Molto divertente la personalità “naturalmente” ansiosa di Paolo Fermanelli-Roy. Bravi gli altri tre attori nei panni dei comprimari, la cui funzione era limitata principalmente a generare la vertigine. La scenografia e le luci erano ben realizzate; delle musiche di repertorio, adatte alla bisogna, non sappiamo dire niente. Pensiamo che la mano registica avrebbe potuto azzardare qualcosa in più ed invece è rimasta piuttosto leggera. (pietrodesantis)