L’elisir d’amore

L’elisir d’amore

melodramma giocoso in due atti, libretto di Felice Romani, musica di Gaetano Donizetti.

La vicenda è ambientata in un immaginario villaggio dei Paesi Baschi, alla fine del XVIII secolo. Nella regia di Ruggero Cappuccio, con le scene di Nicola Rubertelli ed i costumi di Carlo Poggioli, l’ambientazione proposta – essenziale – è più vicina alla collinosa campagna romana e ai suoi abitanti, così come numerosissime opere grafiche l’hanno tramandata fino ad oggi (es. “L’arrivo dei mietitori nelle paludi pontine” di Louis Léopold Robert, Parigi, Louvre).

In una scenografia solare – in cui predomina il bianco, nei fondali e nei praticabili; e il colore del grano e dei fior di prato nei bellissimi costumi – interrotta la fatica della mietitura, i contadini e le contadine capeggiate da Giannetta (Damiana Mizzi, soprano) riposano; mentre la ricca e capricciosa Adina (Rosa Feola, soprano) legge ad alta voce la storia di Tristano e Isotta, e del filtro fatale che li innamora.

Nemorino (Antonio Poli, tenore), innamorato timido ed ingenuo, l’ammira da lontano e vorrebbe avvicinarla, ma non osa parlarle.

In un rullare di tamburi giunge il sergente Belcore (Alessandro Luongo, baritono), arrogante e spaccone, che corteggia Adina; in un impeto di emozione Nemorino prende coraggio e si dichiara alla ragazza; ma ne viene respinto.

Nel frattempo giunge al villaggio Dulcamara (Adrian Sempetrean, basso), un ciarlatano autonominatosi dottore, che decanta i propri prodotti miracolosi. Nemorino gli chiede il filtro magico della regina Isotta e Dulcamara, intuita la semplicità del giovane, gli vende un prodigioso “elisir” (nient’altro che una bottiglia di vino rosso) che servirà per conquistare il cuore di Adina nel volgere di ventiquattro ore.

Nemorino beve la bottiglia avidamente e, disinibito dal vino, comincia a cantare e ballare: in realtà senza badarle troppo. La ragazza, indispettita dal contegno irriverente, inorgoglisce per la corte di Belcore e si impegna con lui: il sergente convince la ragazza a sposarlo immediatamente, con il pretesto della partenza con il reparto ma, anche, al fine di portare a compimento “l’opera d’amore”.

Adina acconsente: Nemorino, svanita l’ebrezza senza avere ottenuto l’esito sperato, vuol comperare un’altra bottiglia di elisir per accelerare i tempi della conquista, ma non ha più soldi e si dispera. Belcore lo convice ad arruolarsi nella guarnigione versandogli in anticipo “il soldo”, grazie al quale compera una seconda bottiglia di elisir.

Nel frattempo si sparge la voce che uno zio del giovinotto è morto, lasciandolo erede di una fortuna. Tutte le ragazze, adesso, aspirano a farsi sposare da Nemorino che, vedendosi tanto ammirato, ne attribuisce il merito a Dulcamara e all’elisir d’amore. Adina, di fronte a quei successi, finalmente s’interessa di lui: jl suo orgoglio lo richiede. Quando viene a sapere che, per acquistare il filtro magico per innamorarla, si è arruolato ed è pronto a morir soldato, si “commuove”: ne riscatta il contratto di leva e dichiara di volergli bene.

Belcore accetta il fatto compiuto, d’altronde troverà ragazze in ogni contrada; Dulcamara innamorato di se stesso elogia il portentoso elisir che, con un fondo di realtà, è responsabile della conclusione felice.

Nella rappresentazione del 13 maggio, cui abbiamo assistito, siamo stati testimoni di un evento straordinario e ne raccontiamo le fasi.

L’Ouverture annuncia l’apertura del sipario su di un fondale in cui spiccano, in bianco, i profili delle case di un paesino collinare; nel mentre mimi, ballerini e acrobati trasportano grandi tavoli bianchi, utilizzati come praticabili entra Giannetta (Damiana Mizzi) che canta l’aria iniziale con voce un po’ coperta dal coro, piuttosto slegato. Nemorino (Antonio Poli) intona “Quanto è bella, quanto è cara” con voce libera ed entra Adina (Rosa Feola) dotata di una bella voce, ma poco potente. Per tutta la prima scena, nella quale Adina legge dell’amore tra Tristano ed Isotta ed il coro le risponde, si evidenziano le due leggere problematiche: coro un po’ slegato, Adina un po’ esile. Nella seconda scena si presenta Belcore (Alessandro Luongo) la cui voce è intonata ma un po’ ingolata (nel gergo si utilizza un termine poco elegante, riferito ad una parte del corpo diversa dalla bocca).

Lo spettacolo è ricco: ballerini ed acrobati lo impreziosiscono con gusto; la musica è ben eseguita ed i cantanti sono bravi, però la scena appare povera se non è presente il folto degli interpreti: coro, mimi e ballerini.

Nella quinta scena entra un apparecchio molto divertente che rappresenta il carro di Dulcamara (Adrian Sanpetrean); bella la voce, un po’ trattenuta. Però nei dialoghi tra Nemorino e Dulcamara e poi tra Adina e Belcore, pian piano la qualità migliora, grazie alle idee registiche ed alla direzione d’orchestra che ben hanno caratterizzato i cinque personaggi. Nel secondo atto si sviluppa l’intreccio della storia, che raggiunge il culmine nelle tre scene finali.

Nella scena ottava, dedicata all’aria “Una furtiva lagrima”, l’intelligenza registica, la bella esecuzione musicale e la voce splendida di Antonio Poli raggiungono un vertice memorabile: l’evoluzione delicatamente acrobatica di una danzatrice sospesa nell’aria, alle spalle del protagonista, sottolinea le acrobazie vocali ugualmente delicate del tenore, che regala al pubblico un’emozione fortissima (anche al sottoscritto). Uno scrosciare di applausi interminabile, almeno cinque minuti, impedisce la prosecuzione e richiede un bis: Donato Renzetti, saggiamente, rimprovera il pubblico che non si da per inteso; ed avvien questo fatto raro del bis a scena aperta. Ripetuta l’aria (non senza rischi per l’interprete) ugualmente bella – ma si è persa la magia precedente data anche dalla continuità delle situazioni – le scene nona ed ultima sono ad un livello elevatissimo, sospinte dall’entusiasmo di tutti: pubblico ed interpreti. Anche Adina, e poi Dulcamara, ricevono applausi fragorosi a scena aperta; lo stesso Belcore e Giannetta nelle ultime batture danno il meglio di sé ed il coro (diretto dal M° Roberto Gabbiani) è ormai perfetto. Ai ringraziamenti è un vero tripudio: decine di minuti di applausi.

Alcuni commenti sono necessari: il primo riguarda lo scrivente, troppo pronto ad esprimere giudizi negativi (ma altrettanto pronto, però, a ricredersi); gli altri riguardano il contenuto dell’opera.

Grazie all’ottimo lavoro del regista e del direttore d’orchestra, i caratteri dei personaggi da figure della commedia dell’arte divengono figure della commedia umana, e di essi ci piace ragionare. Innanzitutto, ci comunica Donizetti, se l’elisir d’amore femminile (o meglio il “tossico”, come canta Norina nel Don Pasquale) traspare da sorrisi e ammiccamenti, quello maschile si manifesta nella disponibilità economica. Intorno a questi due centri di gravità ruota tutto l’universo sociale: “Una tenera occhiatina, un sorriso, una carezza” canta Adina; “Or Nemorino è milionario… un uom di vaglia, un buon partito, felice quella cui fia marito!” replica Giannetta. Svelati i misteri dell’elisir d’amore, è interessante osservare i personaggi: Giannetta è la scaltra contadina (o la servetta) che appare in ogni dramma giocoso, sincera nella propria cattiva coscienza; Belcore è il prototipo del maschio narcisista, innamorato della propria spada, eterno simbolo fallico, cui deve tributare l’omaggio di una folla di prede femminili, per le quali non prova particolari sentimenti – e non ne riceve – per puro dovere virile: “pieno di donne è il mondo e mille e mille ne otterrà Belcore”. Nemorino è il maschio castrato, cui solo un miracolo può restituire un briciolo di potere: un elisir d’amore, appunto. Adina è la donna presuntuosa e manipolatrice, sicura delle proprie attrattive e capace di farle prevalere: disprezza chi la desidera, ma desidera chi la disprezza: “O amor ti vendichi di mia freddezza. Chi mi disprezza mi è forza amar”; infatti può disprezzarla solo chi gestisce un potere altrettanto forte (di nuovo l’elisir d’amore).

Interessantissimo è il carattere di Dulcamara: si tratta di un personaggio scisso, un po’ narcisita ed un po’ sadomasochista, che scivola nell’autoinganno, convincendosi – quasi del tutto – che l’imbroglio da lui stesso ordito, magicamente si trasformi in verità: l’elisir non è più una bottiglia di vino, ma un fluido miracoloso, poiché così egli lo ha definito. La “definizione” gli ha fatto cambiar natura: le parole “diventano” cose e le cose diventano “solo” parola. Un vero delirio di onnipotenza: “gli è che questo sovrumano elisir può in un momento, non solo rimediar al mal d’amore, ma arricchir gli spiantati”. Come in ogni delirio c’è nascosto un fondo di verità e ciò accade anche in questo caso: lo spiantato arricchito, grazie all’elisir de’amore, è lui, Dulcamara.

L’ironia più elegante però – di cui tutti dovremmo far tesoro e che la musica rivela – è nel constatare come gli inganni che facciamo ingannino soprattutto noi stessi.… e la musica non mente!

pietrodesantis

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