“Il giardino di Ebe” un romanzo di Giuseppe Magno
L’autore, già direttore generale dell’ufficio per la giustizia minorile e componente della Corte di Cassazione, si inserisce in quella folta schiera di uomini di giustizia e magistrati che hanno tradotto sulla carta riflessioni ed esperienze raccolte nel corso del tempo.
Il romanzo tratta della “sottrazione internazionale” di un minore: una bambina, Rose il suo nome, viene sottratta alla madre e “venduta” ad una famiglia straniera. L’autore del misfatto, il padre, che è anche l’unica persona in grado di ritrovarla, si suicida: tutto ciò al fine di “punire” l’ex moglie. La storia, che è anche un’indagine psicologica e poliziesca, si protrae per dieci anni, prima di trovare un epilogo.
Il libro è scritto con garbo e scioltezza, non senza ingenuità: si inserisce nell’alveo della “letteratura militante” o del “sociale” – come io preferisco dire – in quanto affronta temi scottanti che fanno parte della nostra quotidianità e che non debbono lasciare indifferenti. La necessità di un tale genere letterario è particolarmente sentita perché, il più delle volte, le “usuali” reazioni di indignazione della pubblica opinione assumono solo un valore rituale o “catartico”, che serve a prendere le distanze dai sentimenti opachi, in apparenza sottintendendo come: “un fatto del genere a me non potrebbe accadere!”; affermazione quanto mai falsa. Accusando ciascuno di noi di falsità, intendo affermare che accade esattamente quanto può accadere: ovvero che i sentimenti perversi, esplicitamente espressi nei gesti di alcuni, sono invero nell’aria e nutrono l’inconscio che è dentro di noi.
Il professor Magno, amico ed estimatore di Sandro Gindro, non ignora l’idea di inconscio sociale: “L’inconscio sociale non è la semplice somma degli inconsci individuali… l’azione di formazione va nella doppia direzione: il gruppo fornisce gli elementi su cui si costituisce l’inconscio individuale in base all’esperienza; il singolo, con il contributo di questa esperienza, a sua volta contribuisce a formare l’inconscio sociale del gruppo al quale appartiene. Il mio oggetto di interesse particolare è l’inconscio sociale del gruppo di cui faccio parte.” (S. Gindro, 1993 L’oro della psicoanalisi, cap. 4, pag. 96)
Il primo dei temi affrontati (non è l’argomento centrale del racconto, tuttavia ne struttura l’evoluzione) è la contrapposizione tra maschile e femminile nelle forme in cui si rende manifesta: nei rapporti di potere e nelle vicende sessuali. Per il per il buon senso comune i maschi cercano legami di dipendenza, mentre le femmine operano scelte più consapevoli. Per chiarezza: gli uomini non saprebbero fare a meno del potere o della penetrazione, invece le donne sì.
Comunque senza volere entrare nel ginepraio delle contraddizioni, possiamo ipotizzare di essere tutti – femmine e maschi – vittime della medesima vicenda di lotta tra sessi; e la tanto sbandierata aggressività del maschio è solo un elemento più visibile ed esteriore, rispetto ad una altrettanto violenta aggressività femminile, dovuto alla struttura psico-fisica e al condizionamento sociale.
Il secondo argomento riguarda l’eccessiva pratica della masturbazione, messa in relazione ad un ipotetico “disturbo” psico-sessuale: l’autoerotismo – oltre a consentire un’armonia di gesti ed intenzioni – concede ampia libertà alle fantasie omosessuali. Ovviamente il desiderio omosessuale non costituisce un disturbo, ma la maggior parte delle persone (anche gay e lesbiche) ne provano un forte timore: vale qui la pena di ribadire una delle equazioni più verificate della teoria freudiana, cioè che ad un grande timore corrisponde un grande desiderio.
Il terzo tema (esposto il quale mi fermo) riguarda funzione e ruolo del padre: la prima è richiesta, il secondo è svalutato. La differenza tra funzione e ruolo è di stampo aristotelico: la funzione è radicata nel biologico (potenza), il ruolo nel sociale (atto). Ma i due aspetti sono inevitabilmente intrecciati. È semplice gioco, nella lotta tra i sessi, far riferimento all’uno o all’altro aspetto per comodità: esigere l’interpretazione del il ruolo sociale e disconoscere quello biologico o viceversa.
Argomento particolarmente caro a Magno è la scelta di campo – tra il bene ed il male – nel rapporto con i minori: con i minori, sostiene l’autore, a causa della loro debolezza fisica e morale si “deve” scegliere la parte del bene. Naturalmente tutti (o quasi) optiamo per il bene. Solo che nessuno (o quasi) riesce a non essere violento con i più deboli…
pietro de santis