La strana coppia
La strana coppia è una commedia di Neil Simon rappresentata per la prima volta nel 1965 e portata sugli schermi nel 1968. Siamo nel pieno del periodo “felice” degli anni ’60, per la cultura e la società americana vincente nel mondo; però anche appena ad un passo dal disastro del Vietnam e dalla perdita dell’ingenuità del “sogno americano”. In realtà, la cattiva coscienza statunitense era palesemente stratificata da più di 100 anni, riguardo alle scelte imperialiste (invasione del Mexico del 1846), e sin dall’inizio della sua storia (dichiarazione d’indipendenza del 1776) riguardo alle scelte schiaviste e razziste.
Ma negli anni ’60 erano già accaduti avvenimenti drammatici: dall’assassinio di JF Kennedy a quello di Malcom X, ai movimenti anti segregazionisti repressi nelle università; nel ’68, inoltre, sarebbe stato ucciso Martin Luther King. Ma per molti WASP (White Anglo Saxon Persons) queste faccende erano valutate alla stregua di fastidiosi incidenti, lungo il felice cammino della democrazia.
La commedia e poi il film colgono un’istantanea, attraverso la vicenda privata di due divorziati, della società metropolitana statunitense di quel tempo, preoccupata sostanzialmente del proprio benessere: lavoro, famiglia e week ends.
La storia che si dipana è esemplare: Oscar, simpatico brontolone, trasandato e disordinato, passa le serate giocando a poker con gli amici. Offre ospitalità a Felix, un divorziato che inscena goffi e surreali tentativi di suicidio, per la disperazione di essere stato scacciato dalla consorte. I due decidono di convivere, ma la differenza caratteriale diviene motivo di liti, equivoci e confusioni esilaranti.
Alla fine la pignoleria di Felix esaspera Oscar al punto da indurlo a cacciarlo di casa: il rischio del dramma conduce ad un inconsueto happy end per Felix, che trova un’oasi di complicità nella sorelle Cecilia e Guendalina, sensuali vicine di appartamento. Nell’altro, parallelo e più classico finale buonista, Oscar si riavvicina affettivamente alla moglie ma, nel frattempo, persiste nelle serate dedicate al poker in cui vige, però, la nuova regola imposta da Felix di non lasciare in disordine la casa.
Oltre alla descrizione di una middle class metropolitana, il lavoro di Simon affronta con leggerezza alcuni aspetti piuttosto interessanti: la secolare lotta tra i sessi – rappresentata dalla diatriba ordine/disordine –; la definizione dell’identità maschile/femminile attraverso elementi comportamentali piuttosto che sessuali; l’angoscia di fronte all’assurdo.
Se negli anni ’60 l’ideale femminile della “domina” casalinga faceva del buon senso, del buon apparire, dell’ordine e della pulizia la legge attraverso la quale gestire il potere, al giorno d’oggi il piacere della “casa a posto” non attrae più le donne, che hanno imparato a gestire apertamente altre forme di potere – sessuale ed economico – in cui è previsto, piuttosto, un “disordine creativo”. Ora sono i maschi a preferire una casa ordinata e a “misura d’uomo”.
Anche il divario nelle identità maschile/femminile non è più evidente come poteva esserlo negli anni ’60 e, al momento attuale, è di difficile definizione: c’è molta confusione sotto il sole. Sebbene l’«universo liquido», nel quale siamo immersi, generi problemi d’identità, tuttavia lascia un terreno fecondo perché alcuni individui (pochi) possano sviluppare un concetto di persona più libero da (qualche) cliché.
Invece l’angoscia di fronte all’assurdo rimane intatta ora come in ogni epoca: non resta che la disperazione del gioco, con la ripetitività inutile ed il finto obiettivo della vittoria o del guadagno. L’obiettivo del giocatore è il gioco stesso; l’obiettivo del gioco è perseguire un rituale ossessivo e quello del rituale ossessivo è allontanare l’angoscia dell’assurdo.
Lo schema de “La strana coppia” è semplice: il vortice di domande, risposte, osservazioni e commenti proposti a grande ritmo, giustifica l’equivoco prodotto dalla polidirezionalità delle parole e dei significati. Se una donna telefona – ed un amico risponde “è tua moglie” e i mariti sono due – il fatto di non sentir la voce giustifica all’orecchio dello spettatore le battute equivoche, la cui logica “relativa” – ma del tutto coerente – è in grado di suscitare il riso. Se poi il drammaturgo ha la qualità e la felicità creativa di Neil Simon il risultato è straordinario.
Il ritmo scoppiettante del testo deve essere mantenuto per tutta la durata dello spettacolo, insieme ad alcune caratterizzazioni obbligate per i personaggi: aggressivo e stralunato Oscar; imbambolato e ricattatorio Felix; surreali gli altri amici del poker; frivole, superficiali e sexy le sorelle Gwendolyn e Cecily. Mettere in scena un testo simile se promette il divertimento – assicurato dalla qualità della scrittura e delle soluzioni proposte dall’autore – nello stesso tempo fa tremare le vene ed i polsi agli interpreti: va mantenuto il controllo della memoria per due ore insieme con il gioco ad incastro di tutte le battute, per non perdere gli effetti comici entusiamanti.
Gli interpreti sono stati tutti bravi: Giampaolo Fermanelli (Oscar), Federico Mancini (Felix), come protagonisti; Luca Capezzani, Michele Palmieri e Noam Prosperi come compagni di poker; Eva Del Monte e Federica Sacchini come inquiline del piano di sopra. Amante del rischio il regista Stefano Leva.
pietrodesantis