Lo zoo di vetro
La stagione teatrale 2015-2016, a Roma appare strepitosa: dopo anni di declino, con la chiusura del Teatro Valle e persino del Teatro Eliseo, inattesa è la resurrezione. A parte la perdurante assenza del Valle, che lascia aperta una ferita, la proposta è straordinaria nei titoli e negli interpreti.
Avendo perduto per eccesso di fiducia – o di sfiducia – La bottega del caffè all’Argentina, ci siamo precipitati ad acquistare i biglietti di Lo zoo di vetro in programma al Teatro dell’Angelo, una bella struttura relativamente nuova del quartiere Prati, ritenendo che la principale interprete, Pamela Villoresi, avrebbe richiamato un folto pubblico.
Dire che un autore (o qualsiasi essere umano) scriva (o agisca) in base ai propri ricordi, e quindi fonda insieme vita e immaginazione, è talmente ovvio da suonare sciocco; ma è doveroso affermare che Tennessee Williams, consapevolmente, abbia dedicato questo dramma al ricordo della sorella Rose, affetta da disturbi psichici e poi “lobotomizzata” per volontà della madre, e resa incapace di sostenere qualsiasi tipo di relazione umana. Quell’accadimento allontanò per sempre il drammaturgo dalla famiglia e dalla figura materna lasciandogli – in modo indelebile – un profondo senso di colpa per non essere stato in grado di opporvisi.
Nel testo teatrale il personaggio di Laura porta il soprannome di Blue Rose e il ragazzo si chiama Tom, diminutivo di Thomas, nome di battesimo di Williams. Laura è una giovane carina ma zoppa e la vergonga della propria condizione la rende chiusa ed ingenua, e trasparente e fragile come il suo zoo di vetro. Amanda vorrebbe, attraverso la figlia, ottenere riconoscimenti sociali ma la frustrazione delle proprie ambizioni esalta la sua aggressività e la sua petulanza; Tom desidera evitare le responsabilità della famiglia e vigliaccamente si sottrae alle dinamiche domestiche, lasciando Laura in balia della madre; l’amico, Jim, già sentimentalmente impegnato e promesso sposo, è sedotto dalla diafana bellezza della ragazza e vorrebbe approfittarne, indifferente delle possibili conseguenze su di lei. La tragedia è sempre il risultato di un complesso di ambiguità ed egoismi.
Già pregustando il sapore dello spettacolo, così come nel ricordo di un ottimo piatto, ci siamo recati a prenotare i biglietti ed abbiamo avuto la prima sorpresa: al botteghino, giovedì 19, ci hanno avvisato che il dramma era in programmazione solo nei giorni del sabato e della domenica! Ci è sembrato un brutto presagio, ma non per questo abbiamo rinunciato: ci siamo riversati – in un gruppo nutrito – allo spettacolo del sabato sera.
A Pamela (Amanda) erano associati Elisa Silvestrin (Laura), Maurizio Palladino (Tom) e Alberto Caramel (Jim); la drammaturgia (crediamo) e la regia erano di Giuseppe Argirò.
Si è trattato di un’edizione da corsa: il ritmo lento del testo, per altro struggente e coinvolgente, è stato tramutata in un “race” come direbbero negli “States”: entra dalla platea Tom e, dirigendosi verso il palcoscenico, spiega rapidamente agli spettatori quale sia la situazione.
Ci troviamo in un interno familiare, negli anni ’30 del secolo scorso, nel sud degli Stati Uniti. Amanda, abbandonata dal marito, ha cresciuto da sola i suoi figli: Tom e Laura.
Tom è atteso a cena dalle due donne: i tre recitano appena la preghiera ed è già tempo di sparecchiare; d’altronde nei piatti non c’era nulla.
La madre incessantemente imperversa sui figli, in particolare su Laura, perché non ha concluso gli studi al college e si è anche sottratta al corso di stenodattilografia al quale Amanda l’aveva iscritta. Laura – che sembra una comprimaria, mentre dovrebbe essere la vera protagonista – ha scelto di chiudersi in un mondo in cui gli unici amici sono gli animaletti dello “zoo di vetro”, che però manca nella messa in scena di Argirò.
Se è vero che – nei sogni – spesso i personaggi più importanti non vengono rappresentati, potremmo definire questo spettacolo come il sogno del regista: ma noi avremmo preferito vederlo, questo zoo di vetro, così importante da essere scelto per il titolo del dramma e per avvertire il senso ultimo della fragilità di Laura. Ma lo zoo di vetro era assente e, sebbene evocato di tanto in tanto nelle parole, non siamo riusciti a rintracciarlo o a capire dove fosse collocato idealmente, nemmeno attraverso i gesti degli attori: ma tant’è.
Vorticosamente le scene si susseguono e, mentre la madre riversa i chilogrammi di ricordi della propria giovinezza, ritualmente ripetuti, veniamo a sapere che Tom ha invitato a cena un collega di lavoro, Jim, per soddisfare le ambizioni materne di accasare la figlia.
Vorticosamente si arriva alla cena: Laura è chiusa a riccio; Amanda riversa attenzioni e ordini a tutti; va via la luce perché Tom non ha pagato la bolletta; tra Jim e Laura c’è un momento di tenerezza, dopo il quale Jim confessa di essere in procinto di sposarsi; cade il rinoceronte dallo zoo e si spezza il corno; finisce la magia, e al lume di candela Laura regala il rinoceronte spezzato a Jim, che prende commiato.
Tom è scacciato di casa dalla madre, reo di averle rovinata la serata e frustrate le ambizioini, avendo portato a cena un ragazzo già impegnato: perciò egli, disceso in platea, allontanandosi confessa di essere fuggito via in quello stesso momento, approfittanfo vigliaccamente della situazione e senza voltarsi indietro.
Che dire dello spettacolo? Pamela ha fatto il suo, come sempre: prepotente e invadente nell’interpretazione, proprio come si può immaginare di Amanda; ma le idee del regista – che ha agito con le forbici, per affidare il massimo dello spazio all’attrice più famosa – sono sembrate piuttosto confuse. Ha trascurato i comprimari, lasciando ai loro personaggi poco spessore: Elisa Silvestrin risultava una bella ragazza piuttosto imbarazzata, ma senza forti emozioni; Maurizio Palladino sembrava un po’ fuori ruolo a causa dell’età anagrafica all’interno della dinamica famigliare e soprattutto faticava ad esprimere una credibile “lacerazione” emotiva, lasciando scivolar via le battute più importanti; Alberto Caramel interpretava un amico troppo ingenuo rispetto alle esigenze del testo.
Il pubblico, numeroso, ha applaudito e riso fragorosamente a proposito ed a sproposito, suscitando in noi qualche dubbio. (pietrodesantis)