Memorie di Adriana
Sostiene Sandro Gindro che la vita è teatro; sostiene pure che il teatro ha tre differenti definizioni: il ‘teatro primo’ è il desiderio. Nessun desiderio nasce ‘astratto’ ma, essendo sempre desiderio di qualcosa, spinge verso una rappresentazione (opportuna o no) che porta al soddisfacimento del desiderio. Il ‘teatro secondo’ è il racconto del desiderio realizzato: può essere fatto a qualcuno ma anche a se stessi e risponde ad una esigenza assolutamente profonda ed ancestrale. Proprio da questa esigenza nasce il ‘teatro terzo’ ovverosia il racconto – o la rappresentazione – fatta in un adeguato spazio scenico e con opportuni accorgimenti: ciò che comunemente chiamiamo Teatro.
Lo spettacolo presentato da Adriana Asti a Spoleto 60 è una specie di ‘teatro quarto’, cioè di teatro nel teatro: sulla scena del Caio Melisso viene portato un altro teatro, quello che è fuori del camerino dell’attore e la stessa porta chiusa del camerino è un elemento di questo teatro. La Adriana Asti che compare sulla scena sostiene di essere ‘una che la conosce’, mentre l’attrice rimane nascosta dietro la porta. Si tratta della dichiarazione di un’intenzione: parlare della donna con il pretesto dell’attrice.
Il teatro ha permesso alla giovane Adriana la vita; senza il teatro, chissa?
Intanto ragioniamo sui suggerimenti del programma di sala: “In prima nazionale al Festival di Spoleto 60, Memorie di Adriana è uno spettacolo… sul punto di cominciare… Infatti davanti alla porta chiusa del camerino di Adriana Asti va in scena invece un altro spettacolo, apparentemente non previsto.
Una figura si affaccia nel buio: “Lei non verrà. Io la conosco. Molto meglio di quanto lei conosca se stessa…” e sarà lei, questa figura, a raccontare di quell’Adriana che non vuole entrare in scena, che fugge pur restando dov’è, che mostrandosi si nasconde, che dimenticando ricorda, che canta per restare sola. Un’attrice sul palco deve diventare un personaggio per riuscire a parlare di sé: è un inganno, forse una necessità.”
Una provocazione, una fuga?
“Fantasie, pensieri, racconti prendono vita, mescolandosi al teatro. A raccontare non sono soltanto gli episodi di una lunga carriera, le ansie del palcoscenico, gli incontri con i più grandi registi di teatro e di cinema, i travestimenti e le nudità, la leggerezza e la follia. A raccontare è il meccanismo stesso di questo spettacolo, la scelta di apparire senza rivelarsi, di guardarsi da fuori quasi con distacco, riversando su quell’altra se stessa ironia e rabbia, irritazione e tenerezza. Dentro questo meccanismo in cui nessuno gioca solo la sua parte, c’è un direttore del teatro che si vergogna della sua coda leonina, c’è un tecnico che vorrebbe non sentirsi una gallina che in realtà è un pollo, c’è un ammiratore che colleziona ricordi. E soprattutto c’è lei, e c’è l’altra: una impigliata nelle tavole del palcoscenico, l’altra in camerino, a guardarsi allo specchio e cercare un nuovo trucco. Sempre a sentirsi fuori posto, per poi scoprire che forse l’unico posto è il teatro, perché totalmente illusorio.”
Adriana Asti fa parte di quel gruppo di attori e attrici “incolti” – cioè che non hanno frequentato le scuole in maniera regolare: chi si è fermato alle scuole elementari, chi alle medie – per i quali la famiglia o la gavetta in teatro hanno svolto la funzione di succedaneo dell’istruzione ufficiale. Se sia stato meglio o peggio non si può dire: si tratta sempre, però, di personaggi che hanno avuto e conservano un grande fascino, unito ad una certa inquietudine (di cui non facile è stabilire se causa o effetto).
Lo spettacolo che presenta la sua vita e le sue riflessioni, per non essere basato solo sulla parola ricorre a piccoli espedienti: proiezioni di immagini, piccole storie accessorie raccontate da altri – il direttore di scena, un ammiratore, il pianista accompagnatore ed il tecnico che è veramente un tecnico –, qualche canzone intonata da Adriana… però è troppo lungo e troppo didascalico, anche se recitato da Adriana davvero molto bene: una straordinaria prova di bravura (e di memoria !) che tiene banco per due ore. È uno spettacolo che si va a vedere per rispetto, per curiosità, un po’ meno per la bellezza delle frasi o per l’altezza filosofica degli argomenti. Soprattutto non è – né ci pice pensarlo – uno spettacolo d’addio; piuttosto una civetteria…
adattamento teatrale e regia di Andrée Ruth Shammah tratto dal libro Ricordare e dimenticare, conversazione tra Adriana Asti e René De Ceccatty con Adriana Asti
e con Andrea Soffiantini e Andrea Narsi e Alessandro Nidi al pianoforte che esegue le sue musiche
drammaturgia Federica Di Rosa
scene Gian Maurizio Fercioni
luci Domenico Ferrari
assistente alla regia Diletta Ferruzzi
assistente allo spettacolo Enzo Giraldo
direttore dell’allestimento Alberto Accalai
direttore di scena Paolo Roda
sarta Francesca Persichini
fonico Matteo Simonetta
video Chiara Toschi su musica di Fiorenzo Carpi
costumi realizzati dalla sartoria del Teatro Franco Parenti diretta da Simona Dondoni
produzione Teatro Franco Parenti in collaborazione con Festival di Spoleto 60