Venne alla spiaggia un assasino
Il mare Mediterraneo si sta riempiendo di morti. Barche inadeguate e stipate all’inverosimile navigano a vista, provando a raggiungere le nostre coste. Alcune ci riescono, altre vengono riacciuffate e riportate indietro, in Libia. Altre ancora, moltissime, affondano. Ho deciso di andare a vedere. Angosciata dall’irrazionalità e dalla ferocia che spinge ministri e politici a considerare i morti un buon esempio, un deterrente per gli altri migranti pronti a partire, mi sono imbarcata con chi invece vuole salvarli.
Venne alla spiaggia un assassino è il racconto del tempo trascorso sulle barche delle famigerate ONG, trasformate in pochi mesi da alleate della guardia costiera italiana in colpevoli di ogni nefandezza. Donne e uomini che dedicano la propria vita al soccorso in mare e meriterebbero il Nobel per la pace e invece vengono insultati.
Ma è anche una specie di romanzo d’avventura, la cui protagonista è convinta di fare la cosa sbagliata per lei, ma decisa a farla fino in fondo. Ci sono libri che si raccontano al ritorno, dopo essersi allontanati molto da se stessi, facendo i conti con un po’ di nostalgia, i ricordi e molta incredulità: abbiamo ceduto la nostra misericordia, la pietà, in cambio di niente. Stiamo facendo una terribile confusione tra colpevoli e innocenti. A volte è difficile capire da che parte stare, altre è facilissimo.” Così Elena Stancanelli presenta il proprio libro.
Il titolo è preso da una felicissima canzone di Fabrizio De André, Il Pescatore: in questo libro non ci sono spiagge e l’assassino è – forse – il mare; ci sono sì i pescatori. Venite con me e vi farò pescatori di uomini, c’è scritto in un certo bel libro e qualcuno ha preso l’affermazione alla lettera: esistono pescatori di uomini, in teoria e nei fatti.
Sono pescatori di uomini i politici che gettano le reti della propaganda e del facile consenso per raccogliere voti; sono pescatori di uomini alcuni che fisicamente – esponendo il proprio corpo – stanno in mezzo al mare per togliere dalle acque i corpi vivi o morti di tanta povera gente disperata. La massima parte di questi corpi ha la pelle nera.
Il colore nero pare sia un problema da un po’ di tempo, qualche secolo almeno. Non era così in un periodo meraviglioso della nostra cultura, duemila anni or sono. Il termine niger (negro) indicava il nero rilucente e splendente, il nero dell’ebano: coloro che portavano questo colore sulla pelle erano rispettati e ammirati sia nella bellezza del corpo sia nel valore fisico e spirituale: essi, originari delle regioni africane più vicine all’equatore, erano i veri figli del Sole, la grande divinità amica degli uomini. Il nero considerato spaventoso era ater, cioè il nero profondo in cui non penetra la luce: l’atra notte, gli inferi oscuri.
Sebbene siano venerate molte Madonne nere, è stata proprio colpa del cristianesimo se il nero ha cambiato colore: da Satana – Lucifero (ex portatore di luce ma poi signore delle tenebre) è risalito il valore ostile ater ed ha eclissato il termine niger fondendosi però in un’unica parola… poi le scoperte geografiche e l’avidità dell’essere umano, civilizzato o no, hanno fatto il resto: la nobile pratica della schiavitù, in precedenza allargata ad ogni colore della pelle, venne riservata principalmente o esclusivamente ai neri, con i più svariati pretesti: culturali, morali, etnici, religiosi. Ciò avviene tuttora.
La missione cui ha partecipato Elena è, più o meno, un progetto letterario concepito da letterati per aiutare i giovani pescatori di uomini, considerati dal 2018 in poi né più né meno che banditi. La missione porta il titolo di corpi: corpi dei pescatori e corpi dei ripescati. L’unico appunto che vorrei fare a questa denominazione è che, da mille cinquecento anni circa, gli esseri umani di colore nero sono considerati solo corpi…
Però questo esempio di letteratura militante, rapida e documentata, ha per l’appunto la volontà di trasformare i corpi in persone e lo fa attraverso il diario, i documenti legislativi, le dichiarazioni dei politici e le interviste. Particolarmente interessante è l’intervista alla dottoressa Cristina Cattaneo professore ordinario di Medicina Legale presso l’Università degli Studi di Milano e direttore del LABANOF
(Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense), tuttora coinvolta nell’identificazione dei migranti morti in mare, in particolare nei naufragi di Lampedusa del 3 ottobre 2013 e del 18 aprile 2015: in virtù della sua professione ella cerca di dare un volto e ricostruire la vicenda umana di quegli esseri sventurati, frettolosamente liquidati nella definizione di morti in mare o immigrati clandestini oppure richiedenti asilo, che cancella ogni storia individuale e rischia di annullarne l’umanità. Ditemi se questo è un uomo era la domanda ossessiva di Primo Levi
Di particolare interesse per me, sono alcuni dati statistici che utilizzo brutalmente, tanto per cercare di pensare in termini pratici e per controbattere un’affermazione che è sembrata lungamente convincente per molti italiani: grazie alla chiusura dei porti sono diminuiti i morti in mare! Trascurando il fatto che sono aumentati i morti sulle spiagge libiche – e quella cosa pare non ci riguardi – bisogna dire che i corpi senza vita ripescati nei primi dieci mesi del nuovo governo, sono più di duemiladuecento e nei primi cinque mesi di quest’anno sono più di quattrocento a fronte di una immigrazione di corpi in vita poco maggiore per quanto si sia potuto fisicamente appurare, ma si sa con certezza – ed il libro di Elena lo documenta – dei molti naufragi di cui si è venuti a conoscenza con grave ritardo, grazie alla nuova politica, non ci sono stati testimoni (quasi) mai testimoni oculari, ma solo rottami.
Elena Stancanelli è una giornalista e scrittrice impegnata su più fronti, ci fa piacere ricordarne uno in particolare: quello dell’educazione alla lettura (e alla letteratura) attraverso l’associazione I Piccolo Maestri di cui è fondatrice e presidente.