Esodo
È una lettura contemporanea, interessante e molto addomesticata, dell’Edipo Re di Sofocle – con qualche puntatina verso Edipo a Colono –; testo e regia di Emma Dante.
Ne sono interpreti Sandro Maria Campagna e gli allievi attori della “Scuola dei mestieri dello spettacolo” del Teatro Biondo di Palermo: Giulia Bellanca, Costantino Buttitta, Martina Caracappa, Chiara Chiurazzi, Martina Consolo, Danilo De Luca, Adriano Di Carlo, Valentina Gheza, Cristian Greco, Federica Greco, Giuseppe Lino, Beatrice Raccanello, Francesco Raffaele, Valter Sarzi Sartori, Calogero Scalici, Maria Sgro. I costumi sono di Emma Dante, le scene di Carmine Maringola, le luci Cristian Zucaro; assistente ai costumi è Italia Carroccio; assistente di produzione Daniela Gusmano; la scultura del Vecchio Laio è di Cesare Inzerillo; il coordinamento e la distribuzione sono di Aldo Miguel Grompone; la produzione è Teatro Biondo di Palermo / Spoleto62 Festival dei 2Mondi.
Abbiamo cominciato ad apprezzare Emma Dante alcuni anni or sono nella regia della Cenerentola di Rossini, al Teatro dell’Opera di Roma, che trovammo travolgente e assolutamente coerente con l’impianto musicale e la vicenda fiabesca.
Ci siamo innamorati della regista assistendo – a Spoleto due anni or sono – alla straordinaria Scortecata tratta da Lo cunto de li cunti di Giovanbattista Basile; perciò non abbiamo voluto mancare alla ennesima proposta di rilettura del dramma dell’esistenza umana – questa volta fortemente incanalata in una visione del sociale, invece della più consueta vicenda personale di Edipo – posta in relazione al disastro dell’immigrazione, cioè al perpetuo esodo che dall’inizio dei secoli si proporrà fino alla fine del tempo umano. Infatti, come insegnavano nelle scuole di un tempo, gli esseri umani dei primordi, frugivori e cacciatori, si spostavano per sopravvivere, quando erano esaurite le possibilità di raccolto o di caccia e ciò accade tuttora. Gli individui che si spostano in massa vengono definiti migranti, esuli, sfollati, terremotati, richiedenti asilo a seconda del motivo che li spinge (o costringe) ad andarsene. Il concetto di migrazione ovviamente non era estraneo alla cultura greca anzi, ogni guerra e ogni catastrofe naturale – ma anche il semplice aumento della popolazione – imponeva il dramma dell’esodo: a causa di ciò è fiorita e finita la Grecia; analogamente è nata e finita Roma.
A questa ineluttabilità tentano di ribellarsi gli Stati Più Industrializzati che, dividendo il mondo in due, impongono agli Stati Meno Industrializzati gli scarti della propria cultura e della propria vita. La finzione che esista un’equivalenza tra cultura ed economia – ovvero che ad economia migliore corrisponda cultura migliore ed entrambe siano strettamente allacciate – è perpetrata attraverso la globalizzazione del commercio, capace di abradere ogni differenza omogeneizzando le richieste e imponendo democraticamente le esigenze del sistema produttivo più forte. Il discorso, difficile, andrebbe approfondito atraverso analisi storiche, sociali e psicologiche accessibili a chiunque ne abbia il desiderio e non si limiti ad ascoltare il borbottio dei propri visceri.
Qualunque siano le intenzioni della regista si legge nella presentazione che: «Esodo è frutto di un lungo lavoro che Emma Dante ha condotto con i suoi collaboratori e con gli allievi della “Scuola dei mestieri dello spettacolo” del Teatro Biondo di Palermo. Si tratta di una riscrittura del mito di Edipo in chiave contemporanea, che parla di noi, del bisogno di confrontarsi con l’altro e di accogliere le differenze, in nome di un’origine e di un destino comune. Il rituale del teatro, nella relazione tra chi lo fa e chi lo osserva, è lo spazio simbolico ideale per elaborare questo bisogno di comunità.»
Lo spettacolo inizia dalla conclusione della tragedia di Sofocle: il viaggio di Edipo verso Colono. Tutti gli interpreti, in fila e battendo i passi in modo quasi inquietante, raggiungono il palcoscenico. Edipo è accompagnato dalla sua gente, donne e uomini tebani vivi e morti: Giocasta, Antigone, Ismene, Creonte, Tiresia e persino il vecchio Laio, che invece di essere stramorto è solo decrepito. Tutti si installano occupando lo spazio come una tribù di Rom o Sinti.
Questa è la parte più bella dello spettacolo in cui le invenzioni teatrali della regista risultano particolarmente efficaci: i rumori notturni prodotti dagli allievi danno la suggestione dell’avventurarsi angoscioso in un territorio sconosciuto; le piccole performances individuali di ogni singolo partecipante riproducono i gesti della vita quotidiana in un campo profughi. Ci sembra chiara in questo l’intenzione di Emma Dante: non – solo – suscitare emozione ma – anche – far pensare che dietro alle spalle di ogni singolo individuo o di un gruppo di migranti c’è una vicenda umana in tutto e per tutto simile alla nostra: anzi, è proprio la nostra.
Rivolgendosi al pubblico, il protagonista Edipo dice: «Stranieri, in nome di dio, proteggete la mia famiglia. Ricordatevi che gli dei guardano all’uomo devoto quanto all’empio e che non esiste scampo per alcun sacrilego al mondo. Vi racconto la mia tragedia in cambio di ospitalità. Mi caverò gli occhi per l’ennesima volta. Io e il coro errante di anime, che sempre resta al mio fianco, vi preghiamo di accoglierci! Abbiate pietà, siamo nelle vostre mani come nelle mani di un dio. Lasciateci varcare il confine e consentiteci di continuare a vivere. Non vi daremo disturbo, ci adatteremo, rispetteremo le vostre leggi, adorandovi come salvatori dell’umanità»; si veste da re e rivive la sua tragedia.
Individuiamo come difetti dello spettacolo l’aspetto inequivocabile di saggio di fine corso – per quanto splendido – e il difficilmente evitabile elemento retorico anti salviniano sottostante: ma come scansare l’arroganza di un potere, capace solo di adulare il se stesso riflesso dallo specchio di casa?