Caro amico ti scrivo
Appena sveglio, sfogliando le pagine dei giornali online come ogni mattina, ho appreso che forse – ovvero con ogni probabilità –, l’attività scolastica si concluderà con scrutini ed esami a distanza e le scuole riapriranno a settembre, il prossimo anno (scolastico). Inevitabilmente, banalmente, ho preso a canticchiare “Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po’” poi, sottovoce, e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò…
Il disco uscì nel 1979, nel mezzo degli anni di piombo; il testo della canzone, tra speranze e disillusioni, credo volesse esprimere il disincanto sociale e politico: un omino piccolo così per citare un altro brano, non avrebbe potuto che stare in casa ed evitare, per quanto possibile, gli incroci con la sorte.
Di quel periodo, in cui ero molto giovane e distratto e cioè, a dirla tutta, “me ne fregavo” (come si direbbe anche ai giorni nostri) ricordo poco, ma un flashback rimane vivo. Tornavo verso casa, insieme a due amiche (per fare cosa?) alla guida spericolata di una macchina, la famosa deux chevaux, lentissima ma capace di vere acrobazie; svoltando a tutta lentezza in una strada, praticamente su due ruote, pescai un posto di blocco: essere fermato, tirato fuori dalla macchina, sbattuto contro il cofano, sentire la canna del mitra poggiato contro la schiena fu tutt’uno. Non dimentico la sensazione e il timor panico al pensiero che una distrazione del poliziotto giovane avrebbe potuto lasciare il segno.
Ancora oggi mi ripeto Dio non mi ha voluto.
Quella canzone mi sembrava un po’ eccessiva; il si esce poco la sera, cantato in un verso successivo, non mi riguardava. A quarant’anni di distanza, invece, mi sembra ben adattarsi al caso.
All’epoca non ammettevo si ponesse la questione del rispetto: scherzando con le mie amiche a chi avrei fatto del male? Il nervosismo dei poliziotti non dipendeva certo da me; eseguivano il loro dovere nel dare la caccia ai cattivi ed io, a pieno diritto, andavo per la mia strada. Mi esponevo, e guidavo come un cretino per le ragazze – che erano belle davvero –, ricordo con precisione; ma anche per far figura con gli amici ai quali avrei raccontato esordendo con un invece io…
E poi forze dell’ordine, politici, giornalisti, esagerano per gli interessi di qualcuno: si sa – e ne sembra sicuro soprattutto chi fa circolare files di Youtube pieni di idiozie –, perciò è lecito fregarsene.
Così pensavo allora e se accadeva che ad un povero cristo, che avrei potuto essere io, facendo la curva con la macchina a tutta, venisse sparato – e accadde – la responsabilità era solamente dei poliziotti, servi dei padroni, aguzzini ed ignoranti anche se, a loro volta, subivano incidenti e morivano.
In quei casi la riflessione era: mica gliel’ho chiesto io…
Non mi veniva in mente che se qualche cretino – io per esempio – si fosse risparmiato una bravata, forse al medico alla guida di una Porsche, magari distratto, non avrebbe sparato – la sera successiva al mio ricordo – un poliziotto esasperato, forse insonne.
Alle venti della sera di ogni giorno, dall’inizio di marzo, ascolto il quotidiano bollettino di guerra con morti e feriti – tra i quali medici, infermieri, agenti di polizia, addirittura vigili urbani o i fatidici impiegati delle poste – e mi vergogno un po’.
Mi sono imposto di leggere, studiare, lavorare restando a casa e fare anche molta ginnastica per stare bene: il mio star bene lo dedico anche a loro.