Quinto (non uccidere)
Quinto è un romanzo di Emanuele Bissattini, conclusivo della trilogia che comprende 47 e Glock17.
La vicenda propone un protagonista – Ettore – e alcuni coprotagonisti che, pur nel ruolo di personaggi minori, si rivelano indispensabili: in particolare Sigmund, una sorta di Virgilio che accompagna Ettore nella particolare discesa agli inferi; e Mezzosacco, un trovarobe di tutto rispetto.
Nell’intera trilogia vengono ricordate, sebbene non sempre presenti, alcune persone fondamentali nella vita di Ettore: innanzitutto i genitori e poi un’oscura famiglia pseudo-adottiva.
Le figure femminili che appaiono, giovani e anziane aiutano oppure ostacolano a vario titolo; motivando il desiderio o alimentando il senso di colpa forniscono carburante al motore della storia, secondo un’antica concezione vitalistica che vede l’uomo nel ruolo di protettore/vendicatore.
Nel pensiero di Ettore il senso di colpa ha un ruolo preponderante e la spunta quasi sempre sul desiderio; perciò, egli si distingue dal malvagio che vuole abbattere ogni ostacolo si frapponga al proprio volere.
In ogni romanzo della trilogia appare un deuteragonista – diverso per ogni storia – che impegna Ettore in una lotta all’ultimo respiro: rappresenta il profondo lato oscuro dell’essere umano che, in virtù di questo attributo, giustifica e chiarisce il pensiero ambiguo e vagamente patologico del protagonista.
Stilisticamente Quinto diviene avvincente soprattutto quando espone il punto di vista dei tre personaggi principali, che si descrivono in prima persona al presente singolare, catturando l’attenzione del lettore: Ettore; Goran, il cattivo alter ego la cui malvagità è dettata da pura invidia (sempre che l’invidia, non sia giustificabile) e Lucilla detta anche Sole, ragazza che ne ha passate di cotte e di crude.
Il romanzo si caratterizza come un Noir (termine che vuole suggerire ciò che è misterioso e cupo) in cui il protagonista è tanto vittima, braccio armato di una giustizia piuttosto opaca.
L’elemento urbano caratterizza fortemente la vicenda, che si sviluppa in una Roma notturna e sotterranea, silenziosa protagonista della storia, con la violenza, la criminalità e il degrado ambientale e morale. In questo mondo manicheo, Ettore aggiusta motociclette in una città visibile e insegue il cattivo in quella invisibile, cupa e sotterranea architettura del potere.
Ovviamente ciò esprime l’incubo del sogno delirante, in cui esplode il contrasto tra coscienza ed inconscio: almeno in apparenza la coscienza dovrebbe prevalere, ma tutti sappiamo bene come finisce.
Roma si sviluppa effettivamente su due livelli e così ben si offre a questa poetica: la città sotterranea, cioè la Roma antica, si appoggia quindici metri sotto al livello stradale come sanno gli esperti di chiese, palazzi e metropolitane.
I famosi palazzinari – che con annessi, connessi e affiliati costituivano gran parte del cosiddetto generone romano della borghesia arricchita nera, bianca e rossa – facevano soldi a palate con gli appartamenti e i reperti archeologici estratti durante gli scavi per le fondamenta; poi cementavano quanto non fosse asportabile per evitare impicci burocratici.
A Roma si cementavano principalmente i reperti archeologici.
L’inevitabile aspetto retorico caratterizza l’intera trilogia ed è elemento di grande interesse psicologico e letterario: il capovolgimento tra il bene e il male, l’improvviso chiarimento dell’inspiegabile, la svalutazione della natura umana e dei sentimenti, a meno che non risultino dolorosi e violenti, il difficile rapporto con la realtà.