Perfect Days
Il rumore che una scopa di sagina fa sull’asfalto, e qualche ciottolo rimbalza, è la sua sveglia. I gesti si ripetono uguali: piegare le coperte e il materasso, riposti per la sera; innaffiare le piantine del giardino d’inverno, compagnia viva della casa; lavare i denti, indossare la tuta di lavoro; uscire di casa, comperare un caffè in lattina; avviare il motore del furgoncino e andare in centro, immerso nel suono di una canzone.
Il lavoro è pulire i gabinetti pubblici di Tokio.
Sono tanti i personaggi che si incrociano, nei gabinetti pubblici: quasi tutti hanno fretta; qualcuno si è perso; qualcuno cerca compagnia o l’amore.
Il pranzo sulla panchina del bel parco pubblico alberato; una foto alle fronde in alto, foto in bianco e nero; un cenno di saluto ad un’impiegata, che pranza altrettanto silenziosamente e compostamente; a fine giornata la passeggiata in bicicletta e l’aperitivo – sembra acqua con ghiaccio – in un locale adiacente alla metropolitana, che forse è anche cena. Poi il ritorno a casa; la lettura di un libro fin quando non arriva il sonno, nella stanzetta angusta, al primo piano di una casetta angusta. Una vita zen, oppure francescana oppure filosofica come quella di Diogene di Sinope (nella botte) o di Henry David Thoreau (nei boschi) ognuno nel suo proprio ambiente
Questo racconta Wim Wenders nel film semplicemente bello, Perfect Days, descrivendo la vita di Hirayama, scandita da una routine perfetta, fatta di cura e passione per tutte le attività della giornata: il lavoro, l’amore per la musica, i libri, le piante, la fotografia e tutte le piccole cose, cui si dedica con un sorriso. Nel ripetersi del quotidiano, si rivela gradualmente qualcosa del suo carattere e cioè del suo presente e del suo passato. Lo spettatore adegua al protagonista una riflessione commovente e poetica, nella scoperta della bellezza che è nel mondo circostante aiutato dalle immagini e dai suoni molto semplici – che sembrano raccolti in presa diretta ma non può essere – e dalla colonna sonora preziosa dei nostri anni Settanta.
Perfect Days nasce come una serie di documentari brevi, chiamati a testimoniare la riqualificazione di diciassette bagni pubblici, realizzati da celebri architetti giapponesi nell‘ambito del “Tokyo Toilet Project”. Poi, la raccolta dei filmati si è evoluta strada facendo, e ha generato un film scritto insieme con Takuma Takasaki e incentrato su di un personaggio di fantasia.
Il protagonista, interpretato da Kōji Yakusho vincitore della Palma d’Oro a Cannes, entra nel cuore degli spettatori per tanti piccoli nulla che rappresentano il tutto: è taciturno, preferisce ascoltare ed osservare; ama leggere; cura le piantine proprie e quelle dei parchi con lo stesso amore che rivolge agli straordinari gabinetti pubblici, le cui architetture abbelliscono i luoghi verdi; ascolta cassette rock anni ’70 di cui scopre il valore economico nell’unica trasgressione, concessa alla routine quotidiana, per affetto nei confronti del giovane collega di lavoro. Le audiocassette sono, a loro volta, protagoniste di una colonna sonora poetica di Lou Reed, Van Morrison, Patti Smith; come pure scnadiscono il presente le fotografie in bianco e nero, che ritraggono sempre la stessa pianta, prese mentre, seduto al parco, viene sorpreso da un particolare riflesso della luce che filtra. Queste foto sono l’omaggio di Wim Wenders alla cultura giapponese: chi ha la pazienza di aspettare i titoli di coda e leggerli fino alla fine, è premiato dalla piacevole confidenza del termine komorebi, il cui significato è osservare il riflesso del sole tra i rami degli alberi.
Coerente con quel vocabolo, Wenders ritrae la semplice quotidianità di Hirayama ogni volta da angolature diverse; segnala dettagli apparentemente insignificanti, in un ordito poetico e appassionato costituito dalle cose minime. Il contrasto di quelle immagini con l’intrico delle strade di Tokyo, l’intensità verticale dei palazzi della metropoli, fanno del protagonista un eroe: saldo e perturbabile come un Odisseo contemporaneo, la cui esistenza ha il medesimo valore dell’albero accarezzato dal vento, ed è libera dalla schiavitù del consumismo della società imprigionata nel cemento, seppur ancora nutrita da un senso di sacralità nascosto rappresentata proprio dal vetro e cemento dei meravigliosi bagni pubblici.
La serenità contagiosa è adombrata dalla sofferenza che Hirayama condivide con le figure scelte come riferiment0 della vita: il giovane collega Takashi, Mama la proprietaria del piccolo ristorante e il suo ex marito malato di tumore, la nipotina Niko desiderosa di emulare lo zio, la sorella Keiko e anche il povero senza casa, convinto di essere albero anche lui.
Il film evoca la natura eterea dell’uomo, Ariel desidera tornare libero.
Si sentono fare commenti di tristezza, di giovinezza perduta, del tentativo di esorcizzare la morte che non condivido e propongo alcune riflessioni: Hirayama non è narcisista perché percepisce tutto intorno a lui; non è sadomasochista perché rispetta i desideri e le sofferenze altrui, alle quali tenta di fornire qualche spinta positiva. Egli è convinto – io sono convinto – che passato e futuro convergano nel presente e che il presente sia l’unica realtà, fragilissima, e per questo vada trattata con cura come le piantine, i bagni pubblici e la musica, una colonna sonora alternativa ai clacson e ai rumori del traffico. Io penso – Wim Wenders pensa – che sia necessario rivedere la concezione sociale che pone al centro del mondo la capacità produttiva di adulti sani, belli e ricchi: quello è solo il centro del potere economico. Il centro del mondo, invece, è popolato da quanti sono capaci di curarlo e renderlo bello – il mondo – sia pure costituito di cessi pubblici.
Che si respiri un’aria zen è innegabile, ma ci sono assonanze tra alcuni aspetti della cultura occidentale ed orientale: in Hirayama, in Diogene di Sinope, in Francesco d’Assisi, in Henry David Thoreau è evidente un amore per la vita dei dieci anni come dei novanta; i desideri possibili ai dieci anni e ai novanta sono altrettanto fondamentali di quelli di quarantenne arrogante di poter influire sul PIL.
Di Wim Wenders avevo già aprrezzato Alice nelle città, Gli angeli sopra Berlino e il meraviglioso Buena Vista Social Club così tanto dedicato alla vita e alla musica come questo: ciò che importa non sta nelle piccole cose ma è le piccole cose, cioè far bene ciò che si potrebbe far male.