Un mondo a parte

Un mondo a parte

Michele, maestro frustrato insegnante in una scuola della periferia romana, insoddisfatto della vita professionale ai margini della grande città, non riesce più a gestire il rapporto con bambini aggressivi e genitori violenti; e nemmeno con la propria disillusione. In un momento di noia chiede il trasferimento in una piccola scuola della montagna Abruzzese e gli viene concesso. Confrontandosi con lo scetticismo del suo stesso dirigente, altrettanto frustrato e piegato, decide di dare una svolta alla propria esistenza e accetta il trasferimento nel piccolo paese marsicano di Rupe – nome di fantasia di Opi  – nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo. Lo salva dalla tormenta di neve, più che altro una fantasia dello sceneggiatore, e lo introduce al nuovo incarico la vicepreside Agnese, la cui dedizione è volta a tentare tutto il possibile per mantenere attiva la piccola scuola intitolata a Cesidio Gentile, poeta e pastore noto come “Jurico”. La scuola sembra destinata alla soppressione e all’accorpamento con la sede principale posta in un centro dell’Alto Sangro, il paese immaginario di Castel Romito (quasi Castel di Sangro).

Il film è stato girato in Abruzzo nelle località montane del Parco Nazionale: Pescasseroli, Opi, Val Fondillo, Villetta Barrea, Lago di Barrea e Civitella Alfedena; nel paese abbandonato di Sperone e nella piana del Fucino a Gioia dei Marsi. Alcune scene affascinanti sono state girate, purtroppo, con l’utilizzo di neve artificiale quasi a sancire come si tratti di una vera e propria favola. La colonna sonora originale è di Piernicola Di Muro e si compone di undici tracce: come ingrediente di valore nostalgico, propone due canzoni del cantautore abruzzese Ivan Graziani, Agnese e Taglia la testa al gallo, tratte dall’album Agnese dolce agnese (1979). Va sottolineata la scelta di comporre il cast e tutta l’ambientazione sociale e culturale utilizzando le risorse dell’Abruzzo – luoghi e persone – a parte i due protagonisti principali Virginia Raffaele e Antonio Albanese.

La regia di Marco Milani vuole raccontare l’umanità delle persone con un pizzico d’ironia e il sostegno della speranza e cala lo spettatore in una realtà rurale molto più realistica di quanto non si pensi. Personalmente ho due esperienze che avallano questa tesi: la prima deriva da uno studio architettonico e sociale di qualche anno fa: proprio ad Opi, mentre camminavamo in cerca di alcuni portali medievali in pietra, davanti ad un piccolo emporio di paese scorsi una scatola che mi fece ridere per il nonsenso e poi sorridere di tenerezza: si trattava di un detersivo per lavatrice capace di lavare triologicamente, cioè ancora meglio che biologicamente. La seconda esperienza fu un colloquio con un giovane allevatore che, dopo il terremoto del 2016, rimase con i suoi animali perché voleva mantenere in vita il proprio lavoro e la propria cultura del territorio.

Il film racconta una fiaba psicologica, ecologica, sociale e d’amore.

Nella piccola scuola esiste una sola sezione multi-classe, composta di cinque allievi: sono bambini intelligenti, esperti della vita di quel mondo a parte in cui il contatto con la natura è necessario, ricco di avventure e di prospettive. In un mondo a parte la poesia dei rapporti umani si esprime con semplicità ma non mancano i problemi: primo tra tutti è la prossima chiusura della scuola per mancanza di iscritti, in quanto il ricambio generazionale si esaurisce dato che i giovani emigrano per motivi di studio e di lavoro. La rinuncia alla scuola elementare è il preludio all’abbandono definitivo della piccola località di Rupe.

A questo punto si intrecciano la storia d’amore tra il maestro Michele e la vicepreside Agnese, il problema dell’accoglienza degli immigrati, la tolleranza delle diversità e confluiscono in un’unica energia che si oppone agli interessi commerciali di quanti vorrebbero sollecitare l’abbandono di Rupe. Ma il distacco da un centro sociale e abitativo equivale ad una perdita: tradizioni, cultura e poesia si dissolvono a favore di un consumismo necessario e distruttivo.

La forza di insegnanti e bambini favorisce la coesione tra sindaco, parroco, maresciallo dei carabinieri, responsabile della protezione civile: essi attuano in comune accordo qualche stratagemma, legalmente discutibile, e la favola si avvia verso un finale positivo. Qualche dubbio, sollevato dal ricorso alle scorciatoie, va risolto con il soccorso della famosissima affermazione La legge è per l’uomo, non l’uomo per la legge (Matteo, 5 17-37) che pone l’uomo e non il profitto al centro del creato.

La semplicità della storia non cancella il contenuto poetico, arricchito da una certa dose di ironia, da un buon ritmo cinematografico e dalla bravura degli interpreti. La materia morale ed etica è resa esplicito già nel titolo: un mondo a parte va sempre cercato e curato sottraendolo alla logica del profitto e alla legge del più forte.

Per accostarsi e custodire al mondo a parte nel quale solidarietà, calore nelle relazioni sociali, rispetto dell’altro siano valori condivisi la strada semplice sembra quella di allontanarsi dal movimento compulsivo della vita cittadina fatta di traffico e centri commerciali ed isolarsi; questa scelta però si scontra con le necessità pratiche di lavoro, studio, salute, con la ricerca degli svaghi e perfino con il coraggio necessario per attuarla. Forse si potrebbe fare uno sforzo di immaginazione e ritenere che un mondo a parte sia possibile anche all’interno di una città attraverso la ricerca di obiettivi semplici e relazioni sociali simili a quelle illustrate nel film: in questa storia (im)possibile i social sono proprio i contatti sociali.

 

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