Barocco!

Barocco!

Spettacolo in prima esecuzione assoluta con Cristina Zavalloni (voce) e il quartetto jazz di ottoni Brass Bang! (Paolo Fresu, tromba e flicorno; Steven Bernstein, tromba; Gianluca Petrella, trombone; Marcus Rojas, tuba).

Dalla presentazione di sala – non c’è programma – leggiamo: “Avventurarsi in un progetto dal titolo ‘Barocco!’ con un gruppo come ‘Brass Bang!’ significa essere pronti a tutto (musicalmente parlando)” frase che promette la trasgressione o meglio (musicalmente parlando) la contaminazione. Che Cristina Zavalloni faccia della trasgressione il proprio cavallo di battaglia è risaputo ed attestato nelle sue più importanti e variegate performances:

“La scala di seta” di Rossini (1997);

“La Passion selon Sade” di Bussotti (1998);

“Passeggiata in tram per l’America e ritorno” di Andriessen (1999);

“Euridice” di Amargos (2001)

“The Second Bakery Attack” di Haber (2002);

“Metti una sera…”  la canzone italiana degli anni ‘60 (2003);

esibizioni al North Sea Jazz Festival ed al Montreux Jazz Festival (2004);

“Incoronazione di Poppea” di Monteverdi (2005);

“Vespri della Beata Vergine” di Monteverdi nell’arrangiamento di Fabrizio Cassol (2006);

“Tilim-bom” con musiche di Stravinsky e Milhaud (2007);

“”Combattimento di Tancredi e Clorinda” di Monteverdi (2008);

esibizione al Roma Jazz Festival con Gabriele Mirabassi (2009);

“La voix Humaine” di Francis Poulenc (2010),

nelle quali ha spaziato dal jazz al barocco, dalla musica del ‘900 a quella contemporanea più ‘spinta’.

Personaggio irrequieto ha studiato dapprima musica jazz per poi scoprire una bella vocalità classica, dedicandosi nel contempo anche alla danza, sospinta da un ‘daimon’ personale nella ricerca costante e semi-consapevole di un qualcosa che è (forse) irraggiungibile, nascosto nelle pieghe della musica, dell’arte, della vita e della stessa carne.

La costante mobilità nell’esprimersi sul palcoscenico, insieme alla struttura fisica dell’artista lasciano immaginare una sorta di inquietudine ascetica, simile a quella delle personalità anoressiche che cercano il corpo oltre il corpo, la bellezza oltre la bellezza, la tenacia oltre la tenacia.

Che Cristina Zavalloni voglia esibire un proprio fascino per catturare il consenso degli altri è affermazione banale (chi non coltiva un simile desiderio?); tuttavia ci sembra che, riuscendo pienamente nel suo intento, esiga inoltre dai propri estimatori un’adesione a priori: offrendo un marchio di qualità – se stessa – veicola una proposta che il pubblico deve accettare a scatola chiusa. Potrebbe questa la motivazione che spiega la mancata compilazione del programma musicale di sala, che a noi sarebbe parsa necessaria soprattutto per un concerto in prima esecuzione assoluta. Saltando la prassi del documento scritto, i brani sono stati comunicati – prima o poi – dalla stessa artista che ne ha spiegato – più o meno – la provenienza e le intenzioni.

Per una motivazione, speculare a quella che abbiamo attribuito a Cristina, neanche noi abbiamo l’intenzione di ritrovare, attraverso una ricerca musicale, l’elenco esatto dei brani eseguiti, ma piuttosto scriviamo il ricordo di quanto ascoltato e compreso: sono state eseguite arie di Händel, Monteverdi, Pergolesi ed altri; tra questi ‘altri’ alcuni sono piuttosto noti, altri meno. Abbiamo ascoltato, inoltre come penultima proposta, un brano modale di tradizione medievale e non barocca.

L’intento della Zavalloni ci è sembrato di natura impressionista: voler lasciare o evocare immagini sonore, emergenti da una nebbiolina musicale oppure da una tempesta di natura jazzistica, più che generare negli ascoltatori una qualche consapevolezza. L’impressione è stata positiva, nel complesso, ma necessita di alcuni ‘distinguo’.

Che le composizioni ‘in origine’ fossero barocche è un dato; che l’armonizzazione e le variazioni jazz fossero del tutto pertinenti non è sempre stato dimostrato: alcuni brani hanno retto all’assalto della Brass Bang!, ma altri sono stati sconfitti.

Dobbiamo comunque riconoscere, oltre ogni evidentissima presunzione – nostra e degli interpreti –, che la maggior parte del programma è stata da noi apprezzata in virtù delle notevoli qualità dei musicisti.

Cristina Zavalloni possiede un’intonazione solida ed una discreta potenza vocale, emersa con la sola eccezione della prima aria – tratta dal Giulio Cesare in Egitto di Händel – in cui non è riuscita a superare la barriera sonora degli ottoni.

Paolo Fresu, Steven Bernstein e Gianluca Petrella sono ottimi musicisti, ma ci ha realmente impressionati Marcus Rojas “considerato il miglior suonatore di tuba al mondo” (nota del testo). La bravura di questo musicista è stata palese sia nell’intonazione, sia nel timbro (mai ‘sbracato’), sia nella morbidezza e nella facilità del suono: in più di un brano la tuba è stata l’unico sostegno armonico al canto, somigliando per velocità, precisione e qualità timbrica quasi ad un violoncello.

Vale la pena di accennare alle modalità di esecuzione dell’interessante concerto: a parte il primo brano – “Music for the Royal Fireworks” di Händel – eseguito con una certa libertà dagli ottoni, che scendevano verso il palco attraverso la gradinata del pubblico; le altre arie avevano inizio con Cristina che scuoteva il diapason (qualora non vi fosse un accordo iniziale) per intonare la nota, indicava rapidamente il tempo d’esecuzione ritmando lo schiocco delle dita, come in ogni performance jazzistica, ed iniziava. In ogni pausa della voce, durante la quale il quartetto si liberava nelle sue evoluzioni, la cantante si aggirava sul palcoscenico e raramente restava seduta.

Raccontato della parte di basso, recitata dalla tuba, gli altri strumenti fornivano solo poche note di riferimento degli originali temi barocchi, muovendo invece le possibili intenzioni jazzistiche con calcolata libertà e senza degenerare.

Come tradizione nei suoi concerti, almeno in tutti quelli cui abbiamo assistito, Cristina Zavalloni “dulcis in fundo” vuole suggestionare il suo pubblico con una piccola perla: in questo concerto ha offerto, come bis, una melodia popolare sarda (in omaggio a Paolo Fresu) introdotta a voce libera e successivamente accompagnata dal quartetto. In un concerto cui assistemmo all’auditorium del Parco della Musica (2010) offrì  una “siciliana” (melodia un po’ dolente e nostalgica); in un altro cui assistemmo al Teatro del Vascello a Roma (2010) offrì invece una ninna nanna dalla tradizione brasiliana.

Per lasciarsi ricordare come vera ammaliatrice.

pietro de santis

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