Quartett

Quartett

di Heiner Müller da “Le relazioni pericolose”; regia di Walter Malosti; con Maddalena Crippa e Walter Malosti

Heiner Müller (1929 –1995) è stato drammaturgo e poeta, scrittore, saggista e direttore di teatro. Forse la definizione di “massimo poeta di teatro del novecento dopo Samuel Beckett” è stata coniata con eccessiva nonchalance ma, indubbiamente, egli è ricordato come il più importante drammaturgo tedesco del XX secolo successivo a Bertolt Brecht. I suoi pezzi – “enigmatici e frammentari” – hanno contribuito significativamente al teatro postmoderno. Nato in Germania dell’Est, appena diciottenne s’iscrisse al Partito di Unità Socialista di Germania ed iniziò a lavorare per la DSV (Associazione Tedesca degli Scrittori). Vinse nel 1959 il Premio Heinrich Mann e nel 1990 il Premio Kleist. Il rapporto con il Partito si deteriorò rapidamente per la messa in scena di testi teatrali di carattere eccessivo e provocatorio, che venivano censurati dopo una sola rappresentazione, a causa dei quali fu espulso dall’Associazione degli scrittori.Nonostante il forte legame politico e culturale con la Germania dell’Est, Müller cominciò a lavorare in Germania dell’Ovest negli anni ’70 come regista. La crescente fama mondiale gli consenti di veder  riconosciuto il proprio lavoro anche in patria, senza ottenere, però, la riammissione all’Associazione Tedesca degli Scrittori fino al 1988. Successivamente divenne presidente dell’Accademia delle Arti  per un breve periodo; nel 1992 entrò a far parte del direttorato del Berliner Ensemble, la prima compagnia di Brecht, divenendone direttore artistico nel 1993.

In Quartett, Heiner Müller riduce all’essenziale il testo poetico, brutale e spudorato di “Le relazioni pericolose” (Les liaisons dangereuses) nell’intenzione di svelare con precisione asettica i meccanismi della coppia e della seduzione, unico significato dell’esistenza individuale se non dell’umanità nel suo insieme.

Le relazioni pericolose è un romanzo epistolare di Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos (1782) che narra le avventure di due libertini appartenenti alla nobiltà francese. Il visconte di Valmont, cinico seduttore, vuole conquistare la castissima Madame de Tourvel: confida il progetto alla marchesa de Merteuil, sua ex amante e sfrenata libertina. Sarà lei a guidare a distanza le avventure di Valmont, sfidandolo a rispettare il codice libertino. Gli consiglia innanzitutto di conquistare la giovanissima Cécile de Volanges, appena uscita di convento, promessa a un uomo di cui la marchesa vuole vendicarsi. Grazie ad alcuni stratagemmi, il visconte supera anche le resistenze di M.me de Tourvel, ma la marchesa gli impone di rompere questa relazione. La lotta fra i due libertini è inevitabile: la marchesa rivela a Danceny, fidanzato di Cécile,  la relazione fra la ragazza e Valmont spingendo i due uomini verso il duello mortale. Valmont, prima di morire, consegna al giovane avversario le lettere che smascherano la Merteuil. L’epilogo vede la dama, ormai oggetto di pubblica riprovazione, ammalata e sfigurata per il vaiolo, isolata dalla società.

L’ambientazione moderna del testo di Müller – un’asettica stanza di ospedale – e la trama “disidratata” di Quartett risultano del tutto incomprensibili a chi non conosca il romanzo di de Laclos: i dialoghi, estratti dal testo originale, vorrebbero ferire le coscienze degli spettatori attraverso un iperrealismo drammatico, ma finiscono invece nell’annoiare, nonostante le notevoli qualità degli interpreti. La marchesa di Marteuil, Maddalena Crippa, in camicia da notte e parrucca settecentesca, è sdraiata su di un lettino d’ospedale in una stanza priva di arredi – a parte il comodino sulla sinistra della scena – e si rivolge a qualcuno che non c’è, lasciando negli spettatori il dubbio del delirio. Poi, il suo “alter ego” Valmont entra in scena e la presenza fisica consente agli spettatori di attribuire una maggiore coerenza ai dialoghi recitati, tratti quasi integralmente dal libro epistolare: i camaleontici attori assumono le personalità di tutti i personaggi descritti. Si apprezza in particolare la bravura virtuosistica di Maddalena Crippa nel passare dal personaggio della contessa di Marteuil a quello di M.me de Tourvel e poi a quello di Cécile senza l’ausilio di oggetti o cambi di costume, ma solo con la voce ed il movimento: lento e compassato, poi drammaticamente combattuto, infine allegramente curioso e civettuolo. Nulla di tutto questo però è in grado di scuotere gli spettatori da un torpore più pesante: quasi nemmeno l’intermezzo pornografico nel quale Malosti-Valmont estrae dai pantaloni un vero-pene-finto in erezione (o un finto-pene-vero in erezione), per altro davvero realistico, con il quale mima, insieme alla Crippa-Cécile, dapprima un rapporto orale, poi un rapporto genitale, infine un rapporto anale continuando a declamare frasi in linguaggio aulico. L’epilogo vede Malosti-Valmont tagliare una vescica di plastica piena di liquido rosso per mimare una ferita e morire, e Crippa-Marteuil ridistendersi sulla lettiga e riprendere il dialogo-monologo del proprio delirio solipsistico.

Utilizzando una definizione un tempo piuttosto in voga, il testo di Müller ci sembra datato, al contrario del romanzo di Choderlos de Laclos che è, invece, pienamente denso di contenuti validi al di fuori del tempo: il tentativo di estrarre i concetti fondamentali, scarnificati dagli elementi culturali e contestuali settecenteschi,  manifesta una presunzione intellettuale e narcisistica – tipica della prima metà dello scorso secolo, ma tuttora virulenta – che spinge a considerare la cultura borghese unica chiave interpretativa della vita sociale e di riconoscere nella lotta (in special modo nella lotta tra i sessi) il motore della vita stessa. Gli amplessi sancirebbero, perciò, alternativamente la supremazia dell’un sesso sull’altro: il pene eretto sarebbe lo strumento coercitivo maschile e l’intelligenza seduttoria quello femminile. Questa lettura – più o meno conscia in Heiner Müller – a noi sembra fortemente claudicante così come lo stesso Complesso di Edipo freudiano, cui si richiama: padre e figlio si contendono il diritto di lottare per la supremazia sul corpo materno (madre e figlia su quello paterno). Ci appaiono costruzioni logiche che possono risultare valide solo in un determinato momento storico ed in un particolare contesto culturale.

Eliminando le “sovrastrutture” – come si sarebbero definite un tempo – e cioè la lotta tra i sessi ed il Complesso di Edipo freudiano cosa rimane? Il desiderio del piacere ed il piacere del desiderio, nelle molteplici mirabolanti possibilità che carnalità, arte e cultura consentono.

“Primavera fiorita sento d’intorno: presto, colmate le coppe di vino soave!” (Alceo)

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