Carmen
È un’opéra-comique in quattro quadri (definizione di Bizet) su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy; è tratta dalla novella omonima di Prosper Mérimée (1845), con modifiche radicali quali l’inserimento dei personaggi di Escamillo e Micaela e il carattere di don José, bandito rozzo e brutale, trasformato in soldatino tenero e affezionato a “mammà”.Allo sgangherato libretto collaborò lo stesso Bizet che (fortunatamente) scrisse le parole per la sensuale danza creola habanera, ormai parte del nostro inconscio sociale: L’amour est un oiseau rebelle. La prima rappresentazione avvenne all’Opéra-Comique di Parigi il 3 marzo 1875 senza successo, cosicché l’autore, morto dopo tre mesi, non riuscì a vederne la straordinaria fortuna. Il teatro dell’Opéra-Comique gli aveva commissionato l’opera facendo pressione, però, per un finale moraleggiante e per attenuare l’evidente dissolutezza della storia, rendendola adatta ad un pubblico di famiglie. Venne mantenuto il finale tragico, ma i librettisti modificarono alcuni elementi significativi della novella, riducendo la vicenda ad un confuso “pateracchio”.
La prima rappresentazione, dinanzi ad un pubblico straordinario di musicisti e letterati, non andò bene: ci furono chiamate alla ribalta dopo il primo atto e nell’intermezzo del secondo, ma gli atti 3 e 4 furono accolti da un silenzio significativo. Molti critici rimproverarono a Bizet non tanto la qualità musicale, quanto l’eccessiva importanza data all’orchestra, quasi più che alle voci.
Il successo travolgente venne alcuni mesi dopo, al Wiener Staatsoper, in cui la première fu data il 23 ottobre 1875 con i dialoghi sostituiti da recitativi accompagnati, musicati da Ernest Guiraud (ricordato forse solo per questo): da allora vi sono state, solo a Vienna, più di mille rappresentazioni.
Il ruolo di Carmen era pensato per mezzosoprano, ma la partitura postuma del 1877 introdusse l’alternativa per voce di soprano, più facilmente “divinizzabile” dal grande pubblico; così alcuni soprani iniziarono a eseguire e registrare la parte. Alla protagonista è richiesta una grande estensione vocale, buone capacità drammatiche, l’attitudine al ballo oltre ad un discereto “personale”. Alcuni brani dell’opera sono diventati popolari al di fuori dei teatri: l’aria del Toreador (Votre toast, je peux vous le rendre… Toreador) e la habanera (L’amour est un oiseau rebelle) sono quelle preferite dai cantanti.
La vicenda è ambientata in Spagna: Micaela sta cercando don José mentre una marcia annuncia il cambio della guardia nella guarnigione ove egli presta servizio. Il caporale José, cui viene annunciata la virtuosa ragazza, confida di esserne innamorato. Al suono di una campana arrivano le operaie della fabbrica di sigari: tra loro è Carmen, che cattura istantaneamente l’attenzione interpretando una torbida habanera (L’amour est un oiseau rebelle); faccia a faccia con José, che ostenta indifferenza, gli getta in faccia un fiore (ogni facile interpretazione psicologica è concessa).
Ricompare Micaela che porta denaro e notizie della madre: insieme a José canta un duetto povero di passione. Nel frattempo Carmen ferisce una collega e il tenente Zuniga invia José ad arrestarla: ella tenta di sedurre il giovane (Près de remparts de Séville) e lo esorta a lasciarla andare; José, allenta i nodi che la stringono e le permette di correre via, mentre la folla ostacola i soldati.
Trascorso un mese Carmen è ormai unita ai contrabbandieri: danza e canta nella locanda di Lillas Pastia, con le amiche Mercedes e Frasquita (personaggi inventati dai librettisti). Il tenente Zuniga la corteggia ma viene inibito dall’arrivo di Escamillo, celebre toreador: anche quest’ultimo s’innamora di Carmen, che lo respinge perché desidera José. Costui, appena uscito dalla cella di rigore, le confessa il proprio amore e la volontà di restare con lei. Zuniga lo ascolta e gli intima di tornare in caserma ma Josè si ribella: i contrabbandieri li separano ed uccidono il tenente. José si unisce a loro e fugge sui monti insieme a Carmen. Ma José è folle di gelosia: la vita fianco a fianco, nel covo dei contrabbandieri, suscita in Carmen un vero odio e la loro relazione è destinata a finire. Le carte predicono a Carmen una morte violenta e a Josè un simile destino. Di nuovo compare Micaela (che, in quanto figura morale, annuncia una catastrofe: in breve “porta jella”): cerca don José per annunciargli che la madre è in punto di morte. Arriva anche Escamillo, che ormai ha conquistato Carmen: José parte con Micaela, ma giura la vendetta della gelosia.
Tempo dopo a Siviglia è giorno di corrida: la folla attende Escamillo che entra trionfante nell’arena. Carmen non si cura degli avvertimenti di Mercedes e Frasquita, che la esortano ad evitare don José, intravisto nei paraggi. Ella gli va incontro e, mentre José la supplica di tornare insieme, lo rifiuta con disprezzo irridendo le minacce di morte: gli getta addosso l’anello ricevuto in pegno d’amore e José, accecato dall’ira, la trafigge e si consegna ai gendarmi.
Usando una terminologia in voga si tratterebbe di “femmincidio” ma, appare ben chiaro, la vicenda è piuttosto complessa – in questo come in tutti gli omicidi a sfondo sessuale –.
Le atrocità del libretto non rendono giustizia ai personaggi che la regia di Emilio Sagi non ha saputo altrimenti caratterizzare: se è vero che risulta difficile dar corpo ad un ectoplasma come la figura malaugurante di Micaela (forzosamente inserita quale moralissimo alter ego di Carmen); come pure ad una sorta di cartellone pubblicitario quale risulta il toreador Escamillo; tuttavia nemmeno José e Carmen riescono ad essere delineati a tutto tondo. Don José sulla scena sembra un adolescente brufoloso in crisi di identità – e non l’amante ruvido e determinato che gli eventi richiedono –; la stessa Carmen oscilla tra la figura di maestrina elementare che insegna educazione sessuale e quella della tabagista incallita che rivendica il diritto a fumare dovunque e comunque, fino alla morte.
È stato per me clamoroso veder cantare la habanera seduta a terra tra operaie e bambini, reduci dal gioco del cambio della guardia; oppure casualmente incontrare tra la folla José, cui lancia un fiore senza apparente motivo; oppure cantare Près le remparts de Séville per pubblicizzare un centro commerciale. Le arie cantate da José, Micaela, Zuniga sono date come acqua fresca in mezzo alla baraonda e non lasciano tracce. Persino la famosa Toreador inserita per ben due volte, è svenduta in atmosfere insignificanti: il bar della “tifoseria” o le gallerie intorno al “terreno di gioco”.
Dopo aver parlato debiatamente male della regia, ci preme invece dire bene dei cantanti, della direzione d’orchestra, delle scene e dei costumi, dei movimenti corali e di (quasi) tutto il resto.
Giuseppina Piunti – che abbiamo il piacere di seguire dai primissimi esordi – è una Carmen sensuale e dalla bella vocalità, purtroppo fortemente penalizzata dai movimenti registici che ne hanno limitato la forte e necessaria carica esibizionistica: il suo personaggio dovrebbe essere dirompente, sempre proteso in avanti verso il proprio obiettivo. Anche don José (Andeka Gorrotxategui), nonostante la versione evirata, ha dato comunque dimostrazione di bella vocalità. Un’unica scena è stata degna della carica sensuale e drammatica caratteristica della vicenda: il duetto finale e la morte di Carmen. In questa scena i due protagonisti erano lasciati soli sul palcoscenico e – fortunatamente – il regista li ha lasciati liberi di cantare.
Bravi tutti gli interpreti (anche l’altro oggetto dei nostri ricordi, il giovane tenore Pietro Picone nella parte de “Le Remendado”). Come in altre occasioni il Coro (diretto da Roberto Gabbiani) inizialmente non ci ha convinto: ci arrivava un suono confuso, non preciso che, però, è migliorato nel corso dello spettacolo. Belle le scene di Daniel Bianco; preziosi e coloratissimi i costumi di Renata Schussheim; ben immaginati ed eseguiti i movimenti coreografici di Nuria Castejon e le luci di Eduardo Bravo. Ci è piaciuta molto la direzione di Emmanuel Villaume che ha curato benissimo l’orchestra e, in particolar modo, le preziose ed elaborate parti solo orchestrali molto presenti nella Carmen, ma superficialmente commentate dal lavoro registico tanto da far commentare (da più parti) sull’inutilità di tanta musica “eseguita sul nulla”.
La figura di Carmen è quella di una donna libera – soprattutto dal punto di vista sessuale – che trova la propria ragion di essere nella seduzione continua e non nella sovranità su “tre camere camere e cucina e doppi servizi”. Ma questo tipo di donna attrae principalmente i maschi che (inconsciamente) dubitano amano il proprio genere sessuale – i maschi che stanno bene tra maschi – e che, perciò, si identificano in lei e nella possibilità inconscia di sostituirsi a lei negli amplessi, con altri maschi dalla forte virilità: da ciò la gelosia folle e la passione travolgente.
Carmen – Teatro Costanzi – Roma
Direttore |
Emmanuel Villaume |
Regia |
Emilio Sagi |
Maestro del Coro |
Roberto Gabbiani |
Scene |
Daniel Bianco |
Costumi |
Renata Schussheim |
Coreografia |
Nuria Castejón |
Luci |
Eduardo Bravo |
Orchesta e Coro del teatro dell?opera di Roma con la partecipazione degli Allievi della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera diretta da José Maria Sciutto. Produzione in collaborazione con il Teatro Municipal di Santiago del Cile.
Interpreti
Carmen |
Clémentine Margaine /
Nancy Fabiola Herrera (19, 21, 24, 28) / Giuseppina Piunti (26) |
Don José |
Dmytro Popov / Andeka Gorrotxategui (19, 21, 24, 26, 28) |
Escamillo |
Kyle Ketelsen / Simón Orfila (19, 21, 24, 26, 28) |
Micaëla |
Eleonora Buratto /
Erika Grimaldi (19, 21, 24 26, 28) |
Frasquita |
Hannah Bradbury |
Mercédès |
Theresa Holzhauser |
Le Dancaïre |
Marco Nisticò |
Le Remendado |
Pietro Picone |
Zuniga |
Gianfranco Montresor |
Moralès |
Alexey Bogdanchikov |