La Cenerentola
Lo stesso Alejo Pérez che ha diretto il concerto del 10 gennaio al Teatro dell’Opera di Roma, si è cimentato con la Cenerentola di Gioachino Rossini, con ottimo esito. L’opera riprende una storia antichissima dalle probabili origini cinesi, passata nei secoli – attraverso la tradizione orale – in tutte le civiltà, da oriente a occidente: nel nostro paese venne fermata sulla carta da Giambattista Basile (La gatta cenerentola) nel Lo Cunto de li cunti (1634); successivamente se ne ebbero versioni “nobilitate” di Charles Perrault (1680) e ancora più avanti dei Fratelli Grimm (1857). La storia – come attualmente è raccontata ai bambini – è legata invece alla versione cinematografica di Walt Disney (1950).
Il dramma giocoso è in due atti, con musica di Gioachino Rossini e libretto di Jacopo Ferretti; si basa sul libretto francese di Charles Guillaume Etienne, scritto per la Cendrillon di Nicolò Isouard (1810); e su quello di Agatina, o la virtù premiata di Francesco Fiorini per Stefano Pavesi (1814). Si tratta di opere di cui non sentiamo più parlare ai nostri giorni. Rossini compose la sua Cenerentola in tre settimane: affidò ad un assistente (Luca Agolini) la composizione dei recitativi e delle arie, meno importanti, quelle di Alidoro e Clorinda. La prima rappresentazione ebbe luogo il 25 gennaio 1817 al Teatro Valle di Roma, al presente disperatamente chiuso: la prima esecuzione riportò un insuccesso ma, dopo poche recite, divenne popolarissima e fu ripresa in Italia e all’estero. Rossini, per questa composizione lampo usò la tecnica, da lui fortemente sfruttata, dell’auto imprestito: prese alcune proprie musiche, da opere composte in precedenza e le inserì al bisogno con un risultato a dir poco strepitoso. La vicenda prende un tono allegro, caricaturale, vorticoso e felice in ogni momento.
Nel libretto di Ferretti la trama è la seguente: don Magnifico, un barone ormai scalcinato e decadente, ha due figlie per le quali ha sacrificato tutte le ricchezze – Clorinda e Tisbe – vanitose, superbe ed invidiose. Ha anche una figliastra, Angelina, bella, ubbidiente e delicata (subito caratterizzata dall’aria malinconica Una volta c’era un re). Le due sorellastre la considerano al pari di una serva, gelose della sua bellezza; ma maltrattano anche chiunque non ostenti ricchezze e nobiltà: così fanno con Alidoro, precettore del principe Ramiro mascherato da mendicante, che entra in casa per spiare le tre ragazze da marito. Egli finge di chiedere un po’ d’elemosina: viene insultato dalle due sorellastre, ma accolto di nascosto da Angelina. Alidoro esce mentre alcuni cavalieri annunciano l’arrivo imminente del principe: le due figlie svegliano Don Magnifico (Miei rampolli femminili) ed egli, comicamente, raccomanda alle ragazze di vestirsi bene e comportarsi come si conviene, affinché una di esse venga scelta come sposa.
Entra don Ramiro vestito da servitore: ha scambiato le proprie vesti con quelle del paggio Dandini per osservare indisturbato il comportamento delle sorelle. Cenerentola lo vede e se ne innamora (Un soave non so che). Entra Dandini in vesti principesche (Come un’ape nei giorni d’aprile), seguito da tutta la famiglia: egli vezzeggia Clorinda e Tisbe, che lo elogiano cercando di sedurlo. Tutti dovranno andare alla festa nel palazzo del principe! Anche Angelina chiede al patrigno di partecipare, ma don Magnifico la caccia sdegnosamente. Alidoro, rimasto in ascolto, decide di aiutarla.
Nel palazzo, Ramiro e Dandini vogliono mettere alla prova le figlie del Barone: Dandini dichiara che egli sceglierà una delle due in sposa, mentre l’altra andrà a Ramiro. Le ragazze, sdegnate, rifiutano di “accontentarsi” del servo. Ma giunge a palazzo una giovane vestita splendidamente e velata: è Angelina, venuta al ballo con l’aiuto di Alidoro. Tisbe e Clorinda notano una certa somiglianza con la sorella ed anche il padre se ne accorge, ma smentiscono reciprocamente questi sospetti.
Dandini invita tutti a tavola, ma l’atmosfera è strana perché tutti temono che il sogno svanisca (… ho paura che il mio sogno vada in fumo a dileguar!). Cala il sipario.
Nel secondo atto Don Magnifico riconosce Cenerentola nella misteriosa dama velata, tuttavia rimane convinto che il principe sceglierà Clorinda o Tisbe: ebbro di vino svela, però, di essersi appropriato del patrimonio di Angelina e di averlo sperperato per vivere nel lusso.
Dandini cerca di sedurre Cenerentola che, onestamente, rivela di essere innamorata del paggio Ramiro: questi, fuori di sé dalla gioia si dichiara ad Angelina. Ma la giovane non vuole sembrare frivola: gli dona un braccialetto (dei due che indossa) come pegno d’amore e come indizio, qualora la volesse cercare, nel momento in cui il desiderio di sposarla fosse certo. E fugge.
Ramiro dichiara di volerla ritrovare. (Sì, ritrovarla io giuro).
Dandini rivela a don Magnifico la sua identità di cameriere del re (Un segreto d’importanza), scatenando l’indignazione del barone che se ne torna a casa. Intanto Cenerentola – già nelle vesti abituali – ricorda il magico momento vissuto alla festa, e ammira il braccialetto che le resta.
Don Magnifico e le sorellastre sono furiosi per la rivelazione di Dandini: nel frattempo si scatena un temporale, e la carrozza del principe – uscito in cerca della ragazza velata – si rompe proprio davanti alla casa del barone. Ramiro e Dandini entrano e chiedono ospitalità.
Don Magnifico non si è rassegnato e spera ancora di sposare una delle figlie al principe; inconsapevolmente compie il gesto che sancisce l’epilogo della storia, perché ordina a Cenerentola di portare la sedia regale: Angelina la porge a Dandini. Il barone invece le indica Ramiro: i due giovani si riconoscono (Siete voi! e Questo è un nodo avviluppato) e si abbracciano. I parenti minacciano Cenerentola per la sua impudenza (Donna sciocca! Alma di fango!) ma Ramiro e Dandini la difendono e annunciano vendette e terribili punizioni. Cenerentola allora invoca la pietà del principe, ormai sua promesso sposo, e desidera che vendetta sia il loro perdono.
Alidoro ha compiuto la sorte di Angelina e ordina alle sorellastre di chiederle perdono: Clorinda s’indispettisce, ma Tisbe accetta la sorte di avere comunque una sorella principessa. Cenerentola, salita al trono, concede il perdono alle sorelle e al patrigno (rondò Nacqui all’affanno) che, commossi, l’abbracciano. Cala il sipario.
In questo nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma, la regia è stata felicemente affidata ad Emma Dante. L’idea teatrale è quella della boite à joujoux cioè della scatola di giocattoli. Si apre il sipario, a metà dell’ouverture, con un gruppo di ballerine, distese sull’impiantito, che recano sulla schiena le espansioni di una chiave per caricare a molla: sono delle marionette meccaniche. Cenerentola, cioè Angelina (Serena Malfi), le carica ed esse prendono vita. Cominciano a muoversi ed a ballare, con piccoli scatti, e si occupano della ragazza: cenerentola è nel suo regno. Le due sorellastre Clorinda (Damiana Mizzi) e Tisbe (Annunziata Vestri) sono brave cantanti ed ottime attrici: caratterizzate da un fisico asciutto e dai costumi (di Vanessa Sannino) che ne esaltano gli aspetti caricaturali si muovono con grande ironia. Le calze rosse di Clorinda ne mettono in evidenza la rabbia; le calze verdi di Tisbe ne sottolineano l’invidia. Don Magnifico (Alessandro Corbelli), padre e patrigno delle tre ragazze è veramente magnifico: bella la voce, notevole la presenza scenica e la comicità dei movimenti. Angelina-Cenerentola è resa, dalla regista, con una personalità più forte e meno buonista del personaggio di Disney, al quale siamo abituati e, ritengo, più coerente con le intenzioni di Rossini: cerca, attraverso i movimenti scenici, un po’ di rivendicare i propri diritti. Questa lettura porta la regista a sottolineare anche gli aspetti “cattivi” della vicenda attraverso soluzioni che non ci aspetteremmo: la vicenda del ballo al palazzo del principe è contrassegnata dalla “rabbia aggressiva” delle altre pretendenti (il copro di ballo) che, armate di tutto punto fingono di sparare alla bella misteriosa e poi si suicidano per la disperazione: l’invidia crepa, così si diceva una volta. Qualcuno, a fianco a noi, faceva notare – forse giustamente – che in questi cupi tempi di stragi a colpi di kalashnikov, la scelta della regia è discutibile. Ad essere sinceri anche noi abbiamo avuto un lieve disorientamento ma, a posteriori, è anche possibile leggervi un contenuto della società dell’invidia per “non dimenticare, anche se in questo momento sorridiamo!” e – forse – questo ha voluto comunicare Emma Dante. La voce di Damiana Mizzi è molto bella, piena, di grande estensione e sicurezza ma (secondo noi, diseyanamente condizionati) un po’ scura per il personaggio interpretato (qualcuno, sempre a fianco a noi, sosteneva invece che no, sono quelle le voci rossiniane. Questo qualcuno è degno di considerazione – e perciò ne riportiamo le affermazioni – anche se non ci trovano d’accordo). Molto divertente Dandini (Vito Priante), una sorta di Papageno più ammiccante e meno sprovveduto dell’originale mozartiano, tendente forse un po’ al servitore Semmi del Principe cerca moglie (1988). Vagamente mozartiano, ma con minore appeal di Sarastro, è Alidoro (Marko Mimica) la cui voce di basso è bella, ma il cui personaggio resta un po’ fuori dal gioco ironico della boite. Don Ramiro (Juan Francisco Gatell) dalla bella voce morbida, come tutti i principi azzurri è piuttosto anonimo: ha la fortunata sfortuna di essere un predestinato, pertanto non si deve mai arrabbattare. La Dante ha cercato di vivificare un po’ il personaggio seguendo, crediamo, le intuizioni di Rossini (ereditate da Mozart) ed espresse di più nel Barbiere di Siviglia: il servitore non è più solo chino ed ubbidiente, ma diviene un po’ competitivo.
Abbiamo trovato bravissimi i mimi/ballerini coordinati da Manuela Lo Sicco; solido il coro preparato da Roberto Gabbiani; assolutamente adatte e solari, nella loro semplicità, le scene di Carmine Marignola.
Riguardo all’esecuzione, sulla cui bontà ci siamo già espressi, vogliamo annotare un elemento negativo: un iniziale scollamento tra le voci disposte sull’intera ampiezza del proscenio nell’introduzione (“No no no, non v’è”); ed uno positivo: il bellissimo sestetto (“Questo è un nodo avviluppato”) – vero capolavoro della musica operistica – ben interpretato e ben messo in scena (anche se qualcuno, a fianco a noi, non gradiva la presenza delle magnifiche ballerine a molla che distraevano dall’ascolto ma, anche in questo caso, non eravamo d’accordo).
L’opera è in scena fino al 19 febbraio. (pietrodesantis)
Direttore Alejo Pérez
Regia Emma Dante
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Luci Cristian Zucaro
Interpreti principali
Don Ramiro Juan Francisco Gatell
Dandini Vito Priante
Don Magnifico Alessandro Corbelli
Clorinda Damiana Mizzi
Tisbe Annunziata Vestri
Angelina Serena Malfi
Alidoro Marko Mimica
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera