Una stanza in più
In questo periodo dell’anno gli spettacoli a Roma sono poco accattivanti e, quando lo siano, non hanno una periodicità che consenta una facile scelta.
Navigando tra le varie proposte ci siamo orientati verso il teatro Tordinona per due motivi (anzi tre): è vicino a piazza Navona e si associa alle belle passeggiate serali; è uno spazio piccolo in cui andiamo raramente; ospita spesso compagnie di giovani, come in questo caso.
Ma per fortuna (o purtroppo) non ci inganniamo quasi più: le “novità” difficilmente sono nuove o particolarmente interessanti. Però l’idea di una compagnia di giovani mi ha attirato comunque, per una sorta di ingenua freschezza e di allegria, che ad esse attribuisco pur immaginandone i limiti: e talvolta abbiamo avuto sorprese interessanti.
Al momento attuale, a Roma c’è un nuovo quartiere alla moda: il Pigneto. Era, un tempo, quartiere popolare, pasoliniano. Lo spettacolo “Una stanza in più” di Alessio Rizzitelli vuole ritrarre un appartamentino, di quelli scassati del Pigneto che una volta costavano poco; i suoi inquilini; e vorrebbe essere “una commedia brillante che indaga la situazione di una generazione, quella degli under 35, sospesi tra l’instabilità e il precariato, gli amori e i litigi, l’amicizia, il sesso, e in molti casi, semplicemente, la disoccupazione” (dalle note di presentazione del programma di sala).
Da questo punto in poi, però, la presentazione sragiona sulla necessità di trovare nuovi spazi; nuovi modi di rapportarsi con nuove identità; nuove visioni di un mondo che corre ogni giorno più veloce.
Lo spettacolo, a dispetto delle ipotesi teoriche del testo, lascia emergere altro: le dinamiche esistenziali della generazione under 35 si condensano nei due contenuti, per altro condivisibili, dell’invidia e della superficialità. L’invidia è rivolta verso coloro che hanno minori responsabilità (gli under 30) oppure maggior reddito (gli over 40); la superficialità induce a dilapidare, nel più breve tempo possibile, relazioni, attività e speranze pur di uscire da un pantano esistenziale che sembra “mondo” ma non lo è.
I personaggi sono cinque: Paolo (Federico De Luca), Peppe (Luca Forte), Diego (Alessio Maria Maffei), Mara (Alessia Paladino) e Claudia (Anika Schluderbacher) più Alberto (Fabio Farronato), che compare in un filmato in chiusura.
Non c’è un vero protagonista perché ognuno dei cinque rappresenta una possibilità: Paolo è uno strampalato, finto paranoico, invidioso delle relazioni sessuali altrui, che dorme nella vasca da bagno perché manca una stanza; più probabilmente per masturbarsi in tranquillità. Peppe è il piacione narcisista che, come fondamentale scopo nella vita persegue l’idea di battere il record di rapporti sessuali per numero di ripetizioni e per molteplicità di partner. Momentaneamente copula con Claudia, dalla quale verrà lasciato a causa di uno scherzo (mal) riuscito. La quale Claudia dà per assodato di essere la donna fondamentale per l’esistenza della terra e lascia Claudio non tanto per il tradimento, quanto per oltraggio alla figura di femmina che intende rappresentare.
Diego e Mara sono le due facce, maschile-femminile, della stessa moneta pseudo-intellettuale: più che amarsi, si affrontano; più che affrontarsi, vorrebbero avere un amplesso; più che avere un amplesso, vorrebbero fondersi; più che fondersi, vorrebbero sapere chi sono; più che sapere chi sono, vorrebbero sapere chi sia l’altro; più che sapere chi sia l’altro, vorrebbero sapere chi non sia; più che sapere chi non sia, vorrebbero sapere che ora è… e così via fino all’uscita in quinta.
Alla fine tutti escono e resta il solo Paolo, evocante il misterioso vagheggiato Alberto; e Alberto appare, in un videoclip casalingo, proponentesi in un discorso poco comprensibile. Si è trattato di un coup de théatre?
Lo spettacolo propone, cercando una freschezza di argomentazioni, l’ambiziosa voglia di rappresentare una realtà in continuo fermento; gli attori – tutti dotati di una discreta personalità – assecondano abbastanza bene le idee registiche che – essendo il regista la stessa persona dell’autore – non sono esenti da una certa confusione.
Le cose che non ci sono piaciute stanno tutte nei particolari: i silenzi all’interno dei dialoghi sembrano veri “buchi”; il campanellino che dovrebbe scandire le “riprese” di un combattimento verbale tra Diego e Mara sarebbe risibile anche in un gioco di bambini…
Bellissima invece la scelta musicale, in particolare il tema di Dream a little dream of me con il quale si chiude lo spettacolo: vale la pena di riascoltarlo. Crediamo che troppe mamme abbiano dato troppi suggerimenti.
Aiuto regia Sara Bordini
Scene Erika Cellini
Costumi Anthony Rosa
Poster e disegni Jodi Gorla