Il turista, di Massimo Carlotto
Il motivo per cui la letteratura criminale o Noir affascina tanto i lettori desta qualche interesse sociale e psicologico. Nel caso letterario di Massimo Carlotto, alcune trame, trasposte nel cinema (Arrivederci amore ciao del 2001; Il fuggiasco del 2003) e nel teatro (Niente, più niente al mondo del 2004; Il mondo non mi deve nulla del 2016) hanno affascinato altrettanto gli spettatori.
Che l’interesse sia diffuso è attestato dalla televisione e dal cinema ma persino da tentativi didattici: so che in alcune scuole romane di secondo grado, i docenti sviluppano progetti di approfondimento sul Noir Mediterraneo – che ottusamente confondevo con le culture legate ai flussi migratori – ma che invece è un riferimento all’immensa letteratura poliziesca di Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Grecia e mi fermo solo a questi paesi per le limitate conoscenze in materia.
La letteratura criminale è un genere più aggressivo del giallo: propone situazioni crude, quasi esagerate – anche se la cronaca quotidiana mostra una realtà ancora più estrema – nelle quali si sottolinea una sorta di distacco emotivo da parte del protagonista malvagio, che si trasmette poi nello sviluppo dell’intreccio delittuoso, come un’ondata di gelo anche al protagonista buono.
Elemento peculiare di questa malvagità è un andamento surreale: l’esasperazione dei gesti violenti e la loro efferatezza è così inumana da divenire onirica e persino ascetica. Nel libro che Massimo Carlotto ha presentato la sera del 18 ottobre, il serial killer protagonista (anche la scelta del nome Abel suscita qualche interesse ) si sottopone ad una disciplina quasi assoluta, con un’applicazione degna di un monaco benedettino…
Nella mia mente antiquata, il rifermento al genere criminale ha le sembianze di un antico fumetto: Diabolik, che tanto mi scandalizzava; in particolare mi infastidiva la bellezza della coppia criminale – che trovavo ingiusta ed irraggiungibile – e ancor di più l’impotenza del commissario Ginko, con il quale evidentemente mi identificavo, sempre miseramente in ritardo.
Nei fumetti e nei romanzi di crimine, ad eccezione dei protagonisti, tutti gli altri personaggi sono senza spessore e, proprio come nel teatro dell’assurdo, ogni loro gesto è assolutamente privo di significato o di poesia: la loro presenza o assenza è quindi irrilevante. Sembra la preparazione all’inumanità cui fa cenno Primo Levi nel dramma letterario “Se questo è un uomo”.
Inoltre io colgo una certa fascinazione nella complicazione dell’intrigo e, anche se il termine romanticismo si riferisce esplicitamente alle storie d’amore, mi sembra vi siano in esso vi siano almeno due elementi di carattere romantico: la sopravvalutazione dell’oggetto desiderato e la forte emozione che esso suscita nell’animo del protagonista. il quale, quasi come innamorato, si ingegna di intrecciare i propri passi con quelli dell’oggetto d’amore: lo studia, lo cerca, lo desidera fino quasi allo sfinimento.
Ulteriore elemento di interesse psicologico nella letteratura criminale è il capovolgimento: luce-tenebre; simile a quello matematico tra numeri razionali ed irrazionali. Intendendo la luce come elemento razionale, armonico ed apollineo; le tenebre, come irrazionale, amorale e dionisiaco.
Nel Turista viene sottolineata la notevole lucidità del criminale, confrontata con l’irrazionale passionalità dell’ex-commissario Pietro Sambo che ne rappresenta l’alter ego. L’essere umano è posto davanti allo specchio: bontà e malvagità sembrano immagini speculari. Il buono ha sempre qualcosa da farsi perdonare, il cattivo qualcosa per cui essere tollerato.
Massimo Carlotto propone un’auto analisi psichiatrica del serial killer piuttosto divertente, suscitando l’opportuna riflessione che in ognuno di noi sia presente un “comportamento seriale” consapevolmente sbagliato e immorale – del quale non ci si voglia o non ci si possa liberare – generato da quelle stesse emozioni che illustra un killer nell’esame di coscienza quotidiano. E si affaccia anche l’idea di “eroismo” nel male: così ci si ritrova persino a parteggiare per il serial killer.
Queste sensazioni, che ho individuato chiaramente in me durante la lettura del libro, mi hanno suggerito un’ipotesi interpretativa per comprendere il fascino e il successo della letteratura di crimine: il meccanismo della catarsi, lo stesso teorizzato da Aristotele per spiegare la funzione della tragedia. Il lettore si identifica con il protagonista negativo, per poter provare quei desideri e quelle emozioni inconsce, brutali, che fanno parte della storia ancestrale (e che riappaiono quotidianamente nelle liti agli incroci stradali e nelle riunioni condominiali); si tratta di desideri violenti cui abbiamo rinunciato a favore della civiltà (vedi Sigmund Freud, Il Disagio della civiltà). Ma l’identificazione risulta così “pesante” che il lettore prova il bisogno di liberarsene: a questo si presta l’alter ego del criminale, rappresentato dall’investigatore, il cui ruolo positivo gli impone di essere un po’ ingenuo e rimanere sempre un passo indietro. Ma finalmente l’eroe buono diviene egli stesso brutale per le nobili ragioni della giustizia riparativa… e arriva a compimento il meccanismo della catarsi.
Vorrei aggiungere qualche nota più specifica sul romanzo, nel quale si intrecciano vari argomenti: la coesistenza di due assassini psicopatici (Abel e Laurie), dalle differenti carriere; l’intreccio di tre storie d’amore; le intersezioni tra le società segrete del crimine, i servizi segreti, i servizi di polizia; e segreti meno cruenti, ma altrettanto ambigui, come la presenza di bed & breackfast abusivi… (il nostro è un paese abusivo come recitava Italia sì, Italia no)
Il meccanismo del racconto, nel Turista, diviene accattivante poiché somma all’esigenza della complicazione una contemporanea quotidianità normale, invitando il lettore all’identificazione, ad esempio attraverso la descrizione dei luoghi: la Rosticceria in Calle della Bissa, il Bar da Ciodi (che io colloco vicino al Ponte di Rialto), la Latteria Vivaldi, la trattoria di Checo Vianello nel sotoportego de’ Squelini, il ristorante Le Tettone in calle dell’Ogio (che mi ricorda il ristorante delle Carampane, non lontano da San Polo).
Tutto ciò rimanda al gioco del teatro (o del fumetto) che è una delle caratteristiche peculiari degli scritti di Carlotto: l’autore propone suggestioni impressioniste per mettere in luce la vicenda psicologica dei personaggi principali.
Mi piace cogliere alcune citazioni artistiche: una probabilmente è sono solo nella mia fantasia, mi riferisco a “Il Maestro e Margherita”? (“è tutta colpa di Annuŝka che ha comperato l’olio di girasole e l’ha lasciato rovesciare… ”) in questo libro è tutta colpa dell’impiegata dell’albergo (che dimentica di avvisare l’arrivo di una troupe cinematografica…) se muoiono due agenti; è esplicito, invece, il riferimento a Pietro Chiari, drammaturgo, scrittore e librettista del ‘700, che risiedette a Venezia tra il 1747 ed il 1762, oggetto di studio del Turista, nel suo travestimento di esperto del mondo musicale.
Si evidenzia una frase incisiva: “Tutti fingono e la menzogna è l’unica moneta di scambio”; si tratta di un’affermazione di valore quasi assoluto nella sua teatralità. La genialità del Turista è però quella di ostentare sincerità, nel suo essere privo di scrupoli: a lui si contrappone, trascinatovi dalla sorte, l’ex commissario che, ingenuamente, ricerca la propria ragione di vita nel senso di colpa e nella menzogna. “Se il male lavora nell’ombra il bene si deve adeguare”: perciò avverrà una metamorfosi che si completerà quando l’ex commissario, ormai associato ai servizi segretissimi, diverrà anch’egli un killer.
Per chi vada in cerca di analogie psicoanalitiche, suggeriso di cercare Mio marito è un assassino di Sandro Gindro