K – festa di compleanno di Fedor Pavlov Karamazov
Il rapporto tra padri e figli ha sempre avuto una coloritura drammatica: questo è attestato, sin dai primordi della civiltà, nei miti cosmogonici di qualsiasi cultura.
In quella nostra – greco, ebraico, cristiana – si ripetono gli esempi del sacrificio del padre oppure del figlio; e la psicoanalisi, Sigmund Freud per primo, ne ha preso atto sostanzialmente con due storie: quella di Edipo (Il caso del piccolo Hans) e quella dell’orda primitiva (Totem e Tabu), in cui un figlio, in proprio o per conto di tutti i figli, uccide il padre.
Gli esempi che la letteratura propone sono molteplici e dotati di sfumature piuttosto differenti: partendo da Crono che evira il padre Urano (Ovidio, Metamorfosi; Esiodo, Teogonia), per finire all’uccisione del figlio da parte di un padre in Affabulazione di Pasolini.
Ma tanti esempi del rapporto tra padri e figli appaiono nella saggistica più o meno recente, come in: Verso una società senza padre (Alexander Mitscherlich, 1970); Il normale caos dell’amore (Ulrich Beck e Elisabeth Beck-Gernsheim, 1996); Tu non sei più mio padre (Eva Cantarella, 2015).
In I Fratelli Karamazov (Dostoevskji, 1880) si ripropone in qualche modo il tema dell’orda primordiale: Fedor Karamazov, padre brutale di caratteristiche arcaiche, nutre una sfrenata passione nei confronti di Grusenka, bellissima usuraia pronta a concedersi per denaro, della quale però è innamorato anche Dimitrij, uno dei quattro figli di Fedor.
Sebbene Dimitrij sia il più violento e passionale, in modo palese anche gli altri tre coltivano sentimenti drammatici nei confronti del padre: Aljoscia dedica il cuore ad un altro Padre; Ivàn è contro ogni immagine paterna, perciò ateo; Smerdjakov, figlio illegittimo ed epilettico, tenuto in condizione di servo, odia schiettamente tanto il padre quanto i fratelli.
Fedor viene trovato ucciso è accusato del fatto Dimitrij; ma Ivan scopre che l’autore del delitto è stato Smerdjakov, anche suggestionato dalle sue teorie e non ha il coraggio di accusarlo, per non essere a sua volta accusato. Così Dimitrij viene condannato e deportato in Siberia: Smerdjakov si uccide.
L’angoscia suscitata dal proprio comportamento vile procura a Ivàn tremende allucinazioni; solo Aljoscia si salva, impotente testimone della tragedia, grazie all’intatta fede che conserva negli uomini.
Lo spettacolo, messo in scena dal 3 al 27 novembre presso il Teatro della Visitazione da Lauro Versari, propone gli autentici temi dei fratelli Karamazov in uno spaccato di vita puramente inventato: la festa di compleanno di Fedor Pavlovic Karamazov.
Il protagonista nei panni di Fedor Pavlovic Karamazov è Luca Biagini, Federico Vigorito è Dimitrij; Camillo Ciorciaro, Ivàn; Valerio Camelin, il novizio Alexseij e Ivan Giambirtone, il servo Smerdiakòv; Francesco Pezzella è un prete dalla cui omelia spunta la storia dei Karamazov; Ilaria Smacchi impersona la seducente Grusenka.
Naturalmente le libertà d’invenzione, nel soggetto di Lauro Versari, sono molteplici e curiose: il prete che celebra messa (bravissimo e cristianamente credibile Francesco Pezzella); l’ingresso in moto sulla scena di Fedor; le comunicazioni al telefonino con personaggi immaginari; la stessa attività di commerciante d’armi ipotizzata per il brutale capofamiglia Karamazov, pur essendo assolutamente forzate tuttavia non escono fuori dal tema del padre-padrone, restituendo le atmosfere drammatiche del libro grazie alla notevole bravura degli interpreti.
L’ambientazione è quella di un locale di periferia con l’avvenente entraineuse (Ilaria Smacchi – Grusenka) che seduce prima il figlio, poi il padre per mezzo della danza (come Salomé con Erode); ai tavoli sono seduti gli invitati (gli spettatori, cui vengono serviti bicchieri di vino e piatti di pasta autentici e non sgradevoli) e si esibisce persino un complesso (i Retropunk) che esegue dal vivo una performance di circa 30’ durante la quale il pubblico è invitato a ballare.
La ristrutturata trama è la seguente: durante la celebrazione della Santa Messa, il prete propone un’omelia sulla famiglia e, mentre porta l’esempio letterario dei Karamazov, sviene. Dal suo discorso nasce la scena dei preparativi per la festa di compleanno e poi, dopo l’arrivo in moto di Fedor, lo sviluppo della cena e della festa danzante. I dialoghi hanno la forza straordinaria di Dostoevskji e le libertà di cui si è detto sono felicemente assorbite dalla qualità degli attori.
Mentre gli spettatori ballano ai ritmi punk, rientrano Fedor e Grusenka abbracciati in un lento: Smerdiakov compie il suo assassinio. Alle urla della ragazza si accendono le luci. Gli spettatori, dalle posizioni in cui sono rimasti, osservano le ultime scene: il prete rinviene e conclude la Santa Messa con l’Andate in pace, mentre il corpo di Fedor resta a terra. Applausi convinti agli attori e dubbi inevitabili per la struttura del pastiche.
Il mio sguardo ammirato, non necessariamente in senso buono, è rimasto a lungo ad osservare il cantante dei Retropunk – un signore piuttosto attempato, di struttura massiccia, in kilt scozzese, scarponi e gilet sul torace nudo, decisamente stonato e sgraziato – andare da destra a sinistra e viceversa sul palcoscenico, mentre i bravi musicisti eseguivano vecchi pezzi melodici della canzone italiana, resi hard. Si dice che il suo costume di scena non contemplasse l’uso degli slip: avrei voluto constatarlo per completare lo studio del fenomeno.
Valido il supporto dei collaboratori: Costumi Vize Ruffo – Aiuto regia Chiara Gennari – Consulenza musicale Alessandro Stella – Luci Paolo Fortini – Comunicazione Giulia Caliò.