Cuore sacro
Innanzitutto diamo un piccolo consiglio: andate a vedere questo film in compagnia di alcuni amici.
La storia narrata è una favola, antica e moderna, avvolta intorno ad un concetto che indichiamo con un condizionale:
ciascuno di noi avrebbe un cuore sacro, propenso all’amore e al bene sociale, offuscato da un cuore profano che spinge invece verso l’egoismo.
Ma qualora si manifesti un clinamen, un accidente, a seguito del quale il cuore sacro riesca a fare capolino, allora si innesca inevitabilmente una reazione a catena di virtù inarrestabili.
È quanto accade alla bella Irene, interpretata da Barbara Bobulova, insensibile avventuriera dell’alta finanza che si imbatte in una ladruncola, Camille Dugay Comencini, che la induce a cambiare vita.
In questa parabola esistenziale fanno da contorno alle due fanciulle alcuni attori di grande spessore: Lisa Gastoni ed Erica Blanc, rispettivamente zia cattiva e zia buona; Gigi Angelillo, guardiano di un palazzo consacrato ai buoni ricordi; Massimo Poggio, prete ingenuamente sedotto da una sorta di teologia della liberazione ed Elisabetta Pozzi interprete di straordinaria intensità nel ruolo di una psichiatra.
Ozpetek è da sempre coinvolto nello studio dell’universo femminile al quale aggiunge, di film in film, alcune caratteristiche sottratte all’universo maschile e depurate di alcune scorie tossiche.
Noi immaginiamo si tratti di una specie di debito contratto nella scelta omosessuale. Il mondo descritto da Ozpetek è diviso in tre categorie di qualità decrescente: gli omosessuali, generalmente maschi, fieri e consapevoli, le donne, gli altri.
I primi insegnano alle seconde come gestire un mondo in cui pullulano anche i terzi.
Le donne sono potenzialmente buone in quanto possiedono una parte buona rappresentata, per natura, dalla possibilità della gestazione: si tratta della antica dimostrazione, di San Tommaso d’Aquino, dell’esistenza di Dio per gradi di perfezione.
In questo film, però, il regista opera il gran salto: la consapevolezza del bene arriva alla donna non più tramite l’insegnamento impartito dall’omosessuale consapevole, ma per eredità genetica, attraverso il cromosoma X, da donna a donna.
Il film è girato con sapienza in una Roma sempre splendida, vero scrigno di quella cultura classica che il regista ha spostato, dalla Istambul greco – romano – islamica di Hamam, nei palazzi e tra i vicoli vicino al Colosseo, che la fotografia ci ripropone in scorci famigliari e quasi dimenticati per troppa abitudine.
La bella musica svolge un importante ruolo di commento, ma non rimane attaccata alla pelle come le colonne sonore di film precedenti tranne il bellissimo brano, che commenta il finale, preso in prestito dal panorama classico.
È utile assistere alla proiezione in gruppo per poter formulare una risposta statisticamente valida alla domanda: come finisce il film?
treamici