Cotunova, Geminiani, Muthelet, Paci
Si potrebbe dire che il concerto di musica da camera, cui abbiamo assistito mercoledì 22 febbraio nella Sala Sinopoli dell’Auditorium del Parco della Musica, fosse musica di giovani eseguita da giovani, se la frase non suonasse un po’ paradossale.
Venivano infatti eseguiti brani per trio d’archi con pianoforte di Mahler, Fauré e Brahms tre autori del periodo romantico e quindi – come avrebbe detto Maria Luisa Spaziani – decisamente stramorti; inoltre, penso che gli esecutori abbiano superato la quarantina, eccezion fatta per la violinista che non si è ancora affacciata oltre la soglia dei trenta.
Però Mahler compose il Quartetsatz all’età di 16 anni; Fauré aveva iniziato il suo quartetto op. 15 quando aveva all’incirca 30 anni; Brahms ne aveva circa ventisette quando incominciò a comporre il quartetto per pianoforte op. 25.
Per quanto riguarda gli interpreti, a dispetto dei dati anagrafici, ormai si debbono considerare giovani i musicisti fino ai quaranta anni inoltrati, viste le difficoltà che si incontrano in qualsiasi carriera artistica e non.
Per i compositori si trattava comunque delle prime o primissime esperienze in quel particolare aspetto compositivo e la loro musica si proponeva in uno stile contemporaneo innovativo, rapportata al periodo storico che loro compete: questo sapore asprigno si percepisce abbastanza nei primi due autori mentre, per Brahms, si apprezza un sapore pienamente maturo ed entusiasmante.
Nel brano di Mahler, soprattutto, vi è qualcosa di sgraziato nella sonorità del violino, che Alexandra Conunova ci è parso cercasse di ammorbidire per mezzo di un vibrato insistente, dall’effetto ziganeggiante. La composizione è, comunque, ricca di dettagli che infrangono le convenzioni classiche tanto da lasciar immaginare – essendo l’autore stramorto – un’anticipazione del clima espressivo della produzione cameristica di Schönberg.
Il quartetto di Fauré, sicuramente più maturo, comunica un elemento di artificiosità, una fatica compositiva. L’opera, come si diceva, fu iniziata dall’autore poco più che trentenne, dimenantesi nella fase iniziale del lungo travaglio formativo. La costruzione del brano fu piuttosto elaborata e si protrasse per ben sette anni: la versione definitiva venne stampata nel 1883. Nella partitura Fauré, pur adottando i modelli del classicismo, preferisce non contrapporre i temi utilizzati, che vuole scaturiscano da una specie di sviluppo intrecciato cui si aggregano, anche, elementi che vengono presi ed abbandonati. In questo brano, l’impiego di melodie modali e la morbidezza delle armonie contrastano almeno un po’ con lo slancio romantico forzato, che nel seguito della propria evoluzione l’autore rifiuterà.
Altro discorso merita il quartetto per pianoforte di Brahms, pieno, ricco, elaborato: il pianoforte apre l’Allegro iniziale con un tema denso di mistero; si aggiungono uno alla volta gli archi fino ad un fortissimo, contrappuntato dal pianoforte. Il secondo tema è presentato dal violoncello, espressivo e pieno di calore. Lo sviluppo si basa sul tema iniziale del pianoforte valorizzato ritmicamente; il movimento si conclude in pianissimo. L’Intermezzo (Allegro ma non troppo) è malinconico, sognante, con un tono da ballata nordica ed un episodio centrale animato per giungere alla conclusione che riprende, pianissimo, il motivo iniziale. L’Andante con moto presenta tre temi espressivi e incisivi con un ritmo di marcia in crescendo. Il Rondò finale (Presto) è di grande durata e di forma libera, e fa riferimento alla musica zigana con cadenze virtuosistiche e valori emotivi opposti: malinconici e scatenati.
Alla conclusione del brano di Brahms, che chiudeva anche il concerto, le mani si muovevano da sole: ci trovavamo ad applaudire in una condizione di stimolo–risposta non mediabile – come il cane di Pavlov – senza il contributo della razionalità e senza la possibilità di smettere per alcuni minuti.
Gli interpreti erano bravissimi: la fascinosa Alexandra Conunova (violino) che si concedeva al pubblico in termini estetici (gran vestito da sera e spalle scoperte) ed esecutivi nella ricerca del virtuosismo; la non meno bella, ma severa, Beatrice Muthelet (viola) in tailler nero con pantaloni (ma clamorose scarpine dorate tacco dodici) estremamente precisa, efficace ed espressiva; il sobrio amico Gabriele Geminiani (violoncello) la cui padronanza tecnica consente di raggiungere una musicalità di altissimo livello; il geniale Enrico Paci (pianoforte) di eleganza trasandata formulante equivoci che svaniscono all’ascolto dello strumento. Travolti dalle ovazioni hanno offerto un bis replicando una piccola parte del quartetto di Brahms.
Fuori ci aspettava una bellissima serata ed il piacere del pane e del vino. (pietrodesantis)