La stanza viola
La pigrizia, che mi ha attanagliato nel mese appena trascorso, si è unita insieme al caldo insopportabile e alle perplessità (insopportabili anche quelle): raccontare serve davvero a qualcosa? Se ai giovani protagonisti del Decamerone e del Pentamerone raccontare serve ad ingannare il tempo (e la morte), forse limitarsi ad osservare – e ridurre al minimo le affermazioni, in accordo con Antonio Pizzuto – va bene per ogni (altra) età.
Soprattutto, il dubbio se valga la pena di esprimere pubblicamente un pensiero si è presentato per lo spettacolo di danza La stanza viola.
Perché la stanza debba essere viola è spiegato in maniera poco convincente nella presentazione dello spettacolo (Una stanza viola rappresenta quel luogo dove tutto può accadere), con qualche forzata inesattezza (Viola è un colore che nasce dal rosso e dal bianco, che formano il colore simbolo dell’universo femminile: il rosa, ma al quale basta aggiungere un po’ di blu e si trasforma, diventa altro, diventa un colore proprio, con il suo nome e la sua caratteristica) e con un gioco di significati un po’ torbidi, scaturito per uguaglianza grafica ma non fonica, con la terza persona del presente indicativo del verbo violare (Troppo spesso tutto questo viene “violato”). Che il viola sia, nella nostra cultura, anche il colore del lutto non viene specificato.
La protagonista dello spettacolo è Simona Atzori, una ragazza nata senza braccia, che ha fatto della danza e della pittura una ragione di vita ed un veicolo di autoaffermazione, tentativo che troviamo quanto mai corretto ed encomiabile. Ugualmente troviamo corretta ed encomiabile la necessità di “speculare” su qualche “eccezionalità” per farsi spazio in un mondo avaro ed invidioso come il nostro, che non regala nulla ma, piuttosto, sottrae…
Riteniamo, però, poco accettabile lo scivolare intenzionale verso la retorica nell’intenzione che divenga questa – non già l’arti, danza o pittura che sia – il veicolo di comunicazione e di commercio: accantonando le questioni morali, spesso una perdita di tempo, la prassi scelta mette in discussione proprio il merito artistico.
A noi il balletto è piaciuto: abbiamo trovato la signora Atzori tecnicamente molto valida ed alcuni passaggi coreografici veramente apprezzabili, soprattutto nelle figure in cui le venivano “imprestate” le braccia dalle altre due protagoniste.
Non ci è piaciuto per niente, al contrario, il ricorso allo stratagemma della performance di pittura dal vivo, in sostituzione di una parte dello spettacolo eliminata a causa della contemporanea e misteriosa assenza della componente maschile; né ci è piaciuta la “santificazione” dell’artista e di ogni cosa ella tocchi, organizzata – crediamo – dalla Mediolanum Corporate University.
Non ci è piaciuto il pubblico che si è precipitato in una straordinaria ed emozionale “standing ovation” il cui significato repulsivo era sin troppo evidente e dequalificante. Né ci piacerà mai la “logica alternativa” di chi, traendo qualsiasi convinzione da uno stupido chiacchiericcio, voglia spacciarla per verità.
di e con Simona Atzori e con i danzatori del Teatro alla Scala di Milano
Marco Messina, Salvatore Perdichizzi
e della SimonArte Dance Company
Mariacristina Paolini, Beatrice Mazzola
voce recitante Simona Atzori
costumi Bruna Scazzosi
musiche di autori varicoreografie a cura degli interpreti
organizzato da Mediolanum Corporate University