Concerti
Il piacere della musica si concretizza non solo attraverso l’ascolto ma, anche, attraverso la visione che l’accompagna quando si è spettatori ai concerti. La visione della musica è, soprattutto, quella degli strumenti musicali: del loro calore; del modo in cui vengono trattati; dei movimenti eseguiti da chi li tratta che trasmettono mimeticamente il suono stesso. Ricordo un concerto tenuto da Markus Stockhausen nel maggio 1986 per la stagione da camera nell’Auditorium di via della Conciliazione – che negli anni ’80 e ’90 ospitava le stagioni concertistiche dell’Accademia di Santa Cecilia –; l’allora giovane musicista eseguì un brano, scritto per lui dal padre Karlheinz, rimanendo sdraiato a terra con la tromba verso il cielo: quella posizione, quell’esecuzione tanto quanto la partitura facevano parte della musica, che altrimenti sarebbe stata diversa nel timbro e nell’efficacia dell’impatto sugli ascotatori.
Lunedì 14 gennaio ho assistito, finalmente dopo tanti mesi, ad un concerto della stagione di Musica da Camera dell’Orchestra di Santa Cecilia, affidato a coro e solisti e diretto dal Maestro Ciro Visco; il programma comprendeva i Chichester Psalms di Leonard Bernstein e i Catulli Carmina di Carl Orff.
Ci è sempre piaciuto Bernstein per l’impegno, la cultura, il piacere di proporre e di proporsi, la ricerca musicale e la capacità didattica e divulgativa. La bella opera eseguita in questo concerto è del 1965 ed è stata composta su commissione della Cattedrale di Chichester, rispettando rigorosamente le precise richieste: in particolare che dovesse contenere echi di West Side Story. Bernstein consegnò il lavoro per coro ed un’orchestra ridotta, ma realizzò anche una versione per con un ensemble piccolo costituito da organo, arpa e percussioni: con questa compagine è stato eseguito al Parco della Musica. Bernstein dichiarò esplicitamente che la parte solista poteva essere affidata ad un tenore o ad un ragazzo sopranista, ma mai ad una donna: fatto contraddetto in questa occasione, in cui la voce è della soprano Marta Vulpi, una dei quattro solisti del Coro di Santa Cecilia.
I salmi, e in particolare il primo movimento, sono noti per le difficoltà che presentano: la parte iniziale è difficile soprattutto per i tenori a causa dell’estensione ampia e della complessità ritmica; in tutto il brano vi è la presenza costante di motivi paralleli insoliti – e difficili da mantenere – tra le parti del solista e quelle del basso. Infine l’intervallo di settima caratterizza tutta la composizione: scelto per l’importanza assunta da quel numero nella tradizione giudaico-cristiana è difficoltoso per l’intonazione. le difficoltà ritmiche sono dovute alla scelta di metri inconsueti come ad esempio il 7/4 del primo movimento. Nonostante la trasgressione alle richieste dell’autore, Marta Vulpi è stata interprete significativa: personalmente trovo affascinanti e coinvolgenti i salmi di Bernstein e ho ammirato l’esecuzione ritmicamente corretta, intonata e sostenuta da una bella voce libera.
Altro atteggiamento estetico fu quello di Carl Orff, la cui ricerca musicale era orientata all’indietro nella rivisitazione di moduli musicali più arcaici: conservatrice e restauratrice è interessante a suo modo, ma ha avuto il torto di piacere ai detrattori della musica “degenerata”; in particolare al pubblico di fede nazista. Non manca però di un suo fascino, legato agli elementi ripetitivi e ossessivi che tanto piacciono, martellando, inebriando e stordendo; elementi comuni simili sono presenti nei generi musicali (dal carattere arcaico e quasi barbarico) che vanno per la maggiore nel pubblico giovane.
I Catulli Carmina (1943) costituiscono la seconda parte di un trittico che comprende i Carmina Burana (1937) e il Trionfo di Afrodite (1953). La composizione mette in musica alcune poesie di Catullo; è scritta per soprano e tenore, coro misto e un’orchestra interamente percussiva molto particolare, composta da quattro pianoforti, timpani, grancassa, tre tamburelli, triangolo, nacchere, maracas, piatti sospesi e crash, cimbali antichi (senza altezza specificata), tam-tam, litofono, Metallofono, due glockenspiel, un blocco di legno, xilofono e xilofono tenore.
Il compositore aveva concepito il brano con un intento scenografico, collocando i musicisti in gruppi separati spazialmente sul palcoscenico: il coro dei giovani, il coro delle giovani, il coro dei vecchi, la casa di Lesbia, la casa di Catullo, la casa della prostituta giovane, la casa della prostituta anziana, l’orchestra. La struttura musicale evolve come una rappresentazione teatrale, durante la quale gli interpreti si rapportano gli uni agli altri ed il pubblico è immaginato come un unico spettatore: il poeta che scrive i suoi carmi.
Anche in questo caso l’esecuzione ha tradito – più ancora che nei salmi di Bernstein – le intenzioni del compositore e in mancanza del supporto scenico la bravura degli interpreti, in particolare ancora Marta Vulpi insieme al tenore Antonio Sorrentino, non è stata sufficiente a superare la monotonia dell’opera. Ottima la direzione di Ciro Visco, Maestro del Coro dell’Accademia di Santa Cecilia e molto valida la prestazione del Coro stesso e del gruppo orchestrale composto da: Antonio Catone (timpani); Edoardo Albino Giachino, Andrea Santarsiere, Davide Tonetti, Valerio Colaci, Angela Pepe, Gabriele Genta, Tiziano Capponi, Arthur Dhuique Mayer, Vittorio Licci, Paolo Nocentini (percussioni); Cinzia Maurizio (arpa); Monaldo Braconi, Roberto Arosio, Michele Reali (pianoforte); Michele D’Agostino (pianoforte e organo)
Solo qualche giorno dopo ho assistito – finalmente dopo tre anni! – ad uno spettacolo in un teatro delle zone colpite dal terremoto (24 agosto e del 30 ottobre 2016) nel bellissimo comune di S. Elpido a mare. Si tratta di un omaggio a Gabriella Ferri, che porta il titolo: “Perché non canti più?” domanda che deve essere stata posta un po’ troppe volte alla brava cantante romana – scomparsa nel 2004 – la quale, esasperata, pare abbia risposto in gergo romanesco un chiarissimo “perché me so’ rotta er …” indirizzato probabilmente agli invadenti interlocutori.
Cantante ed interprete è Syria (Cecilia Syria Cipressi) che ha immaginato un percorso sulla vita e sulle canzoni di Gabriella insieme a Pino Strabioli, la cui voce è presente in qualche brano registrato tratto dalle sue interviste alla grande donna di spettacolo.
Gabriella Ferri ha inseguito il successo nel mondo dello spettacolo in mille maniere e attraverso mille espedienti, raggiungendolo caparbiamente attraverso la canzone popolare romana e napoletana: l’ha interpretata in uno stile personalissimo tra il grottesco ed il tragico, sviluppando un timbro di voce indimenticabile per quanto musicalmente improponibile. Cha la sua vita non sia stata ‘rose e fiori’ è un dato scontato e che l’artista sia scivolata a più riprese nella depressione è pure ben noto. Proprio Pino Strabioli riuscì a riportarla in televisione nel 2002 poco prima della sua scomparsa causata, forse, da un malore.
La brava Syria riesce bene ad intrattenere il pubblico e ad interpretare benissimo – nello stile della Ferri ma con un’ottima qualità vocale – le canzoni popolari riportate in auge negli anni settanta ed ottanta dalla cantante romana; se rappresenta abbastanza bene la fatica esistenziale non può rendere la drammatica e corrosiva insoddisfazione: Syria è troppo solare ed è piaciuta molto per questo al pubblico che riempiva la sala e che si è lasciato andare al coro di ritornelli o al sostegno ritmico del battimani. L’accompagnavano alle chitarre e alle tastiere Davide Ferrario e Massimo Germini.
Anche in questo caso bisogna sottolineare come la musica ascoltata sia differente da quella osservata: cercavamo di vedere ed ascoltare nello stesso tempo l’ottimo accompagnamento alla chitarra ma, come spesso accade a causa degli impianti di amplificazione, il suono eseguito sulla sinistra del palco sembrava provenire da destra… meglio allora chiudere gli occhi o concentrarsi solo sulla bravura dell’interprete principale. (pietrodesantis)