José de Souza Saramago
ha incontrato i suoi lettori al Teatro Quirino, il 14 ottobre 2009 alle ore 21
Ho convinto i miei amici a raggiungere il teatro Quirino per ascoltare la conferenza di José Saramago, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1998, ma non perché mi piacciano i suoi romanzi. Li trovo infatti faticosi, troppo versati ad un surrealismo di maniera e ad una ribellione verso le forme a tutti i costi; e trovo l’autore condizionato da un impasto di narcisismo e pigrizia, adornato di una veste simbolica e politica.
Tuttavia non posso neanche affermare di conoscere a sufficienza la letteratura di Saramago e, forse, l’opera che mi incuriosisce di più fa parte di quelle che non ho letto: La storia dell’assedio di Lisbona, che mi sono proposto di leggere appena sarò capace di vincere l’idea stessa di fatica, che mi assale ancor prima di aprire i suoi libri.
Per un po’ ho pensato fosse una questione di lingua: che la lingua portoghese abbia una costruzione, un’architettura tali da rendere faticosa la sua traduzione, come per la lingua araba; poi ho ripensato al piacere intenso provato nell’abbandonarmi ad altra letteratura in lingua portoghese – Grande Sertao di Guimaraes Rosa per esempio – e ho concluso che quella supposizione non potesse essere confermata.
Forse, solo, rifiuto la fatica cui costringono alcuni autori contemporanei per il loro stile che fa a meno della punteggiatura. Io non credo che il pensiero sia privo di punteggiatura e indifferentemente continuo, ma riesco ad accettare queste libertà nelle poesie, che però hanno gli a capo. Per me l’assenza di punteggiatura e la lunghezza chilometrica dei periodi non costituiscono nemmeno un problema teorico o estetico, ma generano solo fatica.
Perciò l’andare ad ascoltare una conferenza di Saramago, in quanto vincitore di premio Nobel, mi è sembrato del tutto banale, come chiedere l’autografo al cantante di grido: confesso di essere banale. Mi ha stuzzicato la possibilità di confrontare i miei pensieri con quelli di un personaggio il cui valore, del quale sono realmente convinto, è stato certificato. Non aver scelto il medesimo comportamento in altre occasioni, in cui mi si presentavano simili l’opportunità, è ancora per me motivo di rammarico perché esse risultarono irripetibili: molti di coloro che parlarono in luoghi facilmente raggiungibili non erano persone che ammiravo, ma persi l’occasione di ascoltare le loro parole e forse per tutta la vita (che rimane) a causa di questo rimarrò prigioniero di equivoci e pregiudizi indotti dal “si dice”. Meglio perevntivare la possibilità di annoiarsi un po’.
Saramago presentava il suo ultimo libro: Il Quaderno, distillato di due anni di lavoro sul suo blog. Egli era reduce da un ciclo di conferenze italiane tenute nelle città più importanti e presentate da personalità del mondo della cultura. A Roma sono intervenuti Giacomo Marramao e Geppy Gleijeses, attuale direttore artistico del Teatro Quirino.
Già mezz’ora prima dell’orario indicato, la platea del teatro era gremita e quasi del tutto piena si presentava anche la prima balconata; siamo riusciti a trovare posto vicino alla balaustra in una posizione molto laterale dalla quale tuttavia era possibile vedere le sedie affiancate sul proscenio davanti al sipario chiuso.
Solo con dieci minuti di ritardo sono entrati i protagonisti. José Saramago è una persona molto anziana, ottantasettenne, di corporatura magra e slanciata; egli era vestito di scuro ed indossava un paio di occhiali da vista. Una lunga presentazione noiosa di Giacomo Marramao, fortemente politicizzata, si concludeva con una domanda banale e, a mio parere, fuori luogo: cosa pensa il grande scrittore dell’Italia? Si trattava evidentemente di una domanda tendenziosa e l’ospite, dando prova di vera grandezza nonostante la indiscussa militanza comunista, ne eludeva l’aspetto volgare costituito dal berlusconismo-antiberlusconismo vera piaga nostrana. Diceva lo scrittore che in Italia esiste un problema di lingua: nel nostro paese si parlano infatti due lingue, una colta ed una volgare. Un tempo la maggior parte dei cittadini si sforzava di apprendere le regole della lingua colta, ora solo una esigua minoranza se ne preoccupa mentre la più ampia maggioranza ha definitivamente abbandonato ogni ambizione di intelligenza e comprensione. La lingua colta si apprende con coraggio e dedizione allo studio e, per suffragare le proprie affermazioni, Saramago portava due esempi che tuttora destano la sua ammirazione: lo scrittore Roberto Saviano per il coraggio, la professoressa, e premio Nobel per la biologia, Rita Levi Montalcini per la dedizione allo studio.
Nella serata ci furono altri interventi di Gleijeses, che lesse alcuni brani dal Quaderno, di Marramao ancora e dell’attuale moglie di Saramago Pilar, una avvenente e ancor giovane donna spagnola, che hanno perorato ciascuno la propria causa: l’attore si identifica con Vittorio Gassman, l’intellettuale si identifica con l’ideale oppositore al regime, l’attuale moglie si batte per riunire insieme e a proprio nome le eredità economica ed artistica del grande scrittore.
Nell’ultimo intervento Saramago ci tenne a precisare di essere stremato da questo tour di presentazioni e ne abbiamo dedotto che ne fu costretto dagli amici politici, dagli amici editori, dall’attuale moglie: con un po’ di tenerezza, ed un briciolo di invidiosa identificazione, ci siamo detti che è sempre difficile opporre rifiuti a proposte simili, ma ad ottantasette anni diviene persino disdicevole in una società adultocentrica e veteroborghese quale è attualmente la nostra.
Ci hanno però commosso le sue dichiarazioni d’amore – a amore vero – per il coraggio (di Roberto Saviano), la dedizione (di Rita Levi Montalcini), l’infinita apertura del proprio cuore verso gli esseri umani (di Gesù di Nazareth).
Pietro De Santis