La città in mostra
Per tener fede alle famose ottobrate, la città di Roma, anche in questo mese di ottobre, si presenta con le sue migliori lusinghe: giornate di sole di una luminosità struggente (anche se alterata ormai da un cronico inquinamento); presentazioni di programmi teatrali e musicali più che mai invitanti (nei più di settanta teatri e nelle decine di music hall) e soprattutto tante mostre.
Particolarmente in quest’anno, a dispetto della crisi ma forse proprio a causa di questa, l’offerta di mostre e musei sembra straordinaria: da Luca Cranach (Galleria Borghese) a Vincent Van Gogh (Palazzo del Vittoriano); dai gioielli dell’Accademia Carrara di Bergamo (momentaneamente chiusa per restauri) ospitati nel chiostro del Bramante a quelli di Palazzo Barberini restaurato a sua volta e riaperto al pubblico recentemente; dal rinnovato Museo di Roma di Palazzo Braschi, alle centinaia di spazi espositivi privati e pubblici dedicati all’arte antica, moderna e contemporanea.
Su questo andamento controcorrente della cultura – che prevede la penalizzazione della musica e del cinema e l’esaltazione delle arti figurative – non è estraneo il peso incentivante del turismo: decine di migliaia di persone si mettono in fila per (non) ammirare le innumerevoli opere d’arte esposte nelle nostre città; forse questo dato è sufficiente per investire un budget adeguato.
Di fronte all’ignoranza trionfante, di cui si pregia la nostra epoca, la fantasia della proprietà di un quadro (che viene spesso fotografato nonostante i divieti) è più rassicurante ed invitante della fruizione di un brano musicale, il cui possesso resta solo mentale, e conseguente ad un lavoro culturale.
Ma la bellezza della città di Roma, dei suoi palazzi e delle sue mostre, è anche riparatoria: avevamo tentato di visitare il Museo Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini nel giorno della riapertura, ma siamo stati respinti da una coda di pubblico lunga circa mille metri (consistente, ad occhio e croce, di ventimila esseri umani); abbiamo allora optato per una passeggiata in via Sistina, da piazza Barberini verso la Trinità dei Monti, arrivando sino alla balconata del Pincio, dopo avere costeggiato la Casina del Valadier; ed abbiamo osservato indisturbati (e quasi soli) uno splendido tramonto ed il crepuscolo lasciar posto alla sera sul quartiere Prati, da piazza del Popolo alla Basilica di San Pietro;
come pure avevamo prenotato una visita a Musei Vaticani e Cappella Sistina ma, una volta raggiunto il piano delle esposizioni, invece di seguire la fiumana di visitatori nel percorso principale, abbiamo furtivamente svoltato a destra verso la cosiddetta Pinacoteca Vaticana e lì, assolutamente indisturbati e quasi isolati – a parte un gruppettino di turisti giapponesi –, ci siamo lasciati andare alle più entusiastiche esclamazioni di stupore (ma sottovoce per non invogliare i turisti in fila poco più in là) di fronte alla Trasfigurazione di Raffaello, alle opere di Giotto, Simone Martini, Perugino, Carlo Maratta, al San Gerolamo di Leonardo da Vinci ed ai meravigliosi quadri di Giovanni Bellini, Giulio Romano, Tiziano, Veronese, Caravaggio, Guido Reni, Guercino, Pietro da Cortona, Poussin ed altri ed alle forme in creta e paglia del Bernini, preparatorie delle sculture per l’altare della cattedra di San Pietro;
come pure ci siamo infilati verso sera in Palazzo Brancaccio, sede del Museo Nazionale di Arte Orientale e, assolutamente indisturbati, abbiamo dato un primo sguardo alle centinaia di opere di scultura e pittura raccolte nei grandi saloni ripromettendoci di tornare più volte per tentare di capire qualcosa di quelle culture lontane;
come pure, desiderando fare un tuffo rinfrescante nella meravigliosa arte greco-romana, ci rifugiamo nel piccolo Museo Barracco che nessuno frequenta, o nella Centrale Montemartini, praticamente sconosciuta, o a Palazzo Altemps lontano dagli sguardi indiscreti.
Ma la città, in questo periodo, fa anche altra mostra di sé: la spazzatura trionfa in ogni forma e dimensione; si stipa tra le macchine malamente parcheggiate sui marciapiedi e trabocca dai cestini; rende fetidi gli angoli delle strade dove i cani si fermano a depositare i propri bisogni mentre i proprietari guardano distrattamente altrove.
E – sembrerebbe un gesto ironico ma non lo è – proprio di fronte a queste spazzature, segno del malgoverno cittadino, fanno bella mostra di sé decine di manifesti, pagati con i soldi dei romani, che celebrano lo straordinario merito di questa giunta, di avere organizzato una “scampagnata” a base di polenta e pajata insieme ad un politico del nord e scrivono: “Grazie Alemanno! Dopo venti anni Bossi chiede scusa ai romani”.
Così, insinuatosi tre le volgarità dei politici e degli amministratori locali, l’inconscio sociale ha scovato una maniera subdola per celebrare la tradizionale ignavia umana – ripetutamente espressa nel corso dei secoli, anche attraverso le feste del vino d’ottobre – che “se ne frega” di tutto e di tutti: “s’annamo a divertì, Nannì, Nannì”.
(pietro de santis)