Gianni e le donne
di Gianni Di Gregorio; con Gianni Di Gregorio
Gianni è un sessantenne in pensione, abbastanza pacificato nei sensi, diviso tra una madre novantaquattrenne (Valeria de Franciscis) che non bada a spese e gli chiede continue cortesie, una moglie (Elisabetta Piccolomini) e una figlia (Teresa Di Gregorio) che pare abbiano bisogno solo di un cognome. Coltiva l’illusione di una matura giovinezza un po’ grazie ai complimenti delle ottuagenarie amiche materne, un po’ per le fantasie incestuose della bellissima vicina di casa (Aylin Prandi).
La vita scorrerebbe via pigramente se l’amico avvocato (Alfonso Santagata), per avere un compagno di lussurie, non lo spingesse verso improbabili avventure erotiche.
Gianni vorrebbe impedire alla madre le spese esagerate cui si abbandona, per preservare la futura eredità della bella villa fuori porta: ottiene invece l’effetto di spingere l’anziana signora alla vendita della nuda proprietà, per disporre di un po’ di “soldini”. L’acquirente è una cantante lirica (Gabriella Sborgi) – verso la quale egli aveva tentato timide “avances” – figlia di un’amica della mamma (Lilia Silvi).
Altro infruttuoso tentativo di seduzione è rivolto alla badante romena (Kristina Cepraga) che, saggiamente, preferisce il ricco stipendio ed i regali elargiti dalla dama, alle povere proposte di lui.
Con qualche abbozzo di complicità e riflessione, si approfondisce il rapporto tra Gianni ed il nullafacente provvisorio fidanzato della figlia (Michelangelo Ciminale), accampato nel loro appartamento.
Sotto l’occhio intenerito del ragazzo, il maturo protagonista tenta di riacquistare una prestanza fisica per prepararsi a eccitanti imprese amorose; ma finiscono senza esito sia i tentativi in coppia con l’amico avvocato verso due slanciate gemelle (Laura Squizzato e Silvia Squizzato) in cerca di un “papy” mecenate, sia l’incontro con un’antica fiamma del liceo (Valeria Cavalli), cinquantenne affascinante, che non se ne da per intesa. L’estremo “rimedio” – combinazione di una pillolina azzurra con l’appuntamento di una “escort” – abortisce in mezzo al traffico di Roma.
L’epilogo, nel caldo mese estivo, si realizza in occasione del compleanno materno: al pranzo in suo onore, l’anziana matriarca si presenta accompagnata dalla badante e zia rumena al seguito, le cui presenze ella preferisce a quelle di figlio, nuora e nipote.
Gianni fugge a cercare conforto dalla incestuosa inquilina del piano di sotto. Si trova nel mezzo di un happening: gli viene offerto un aperitivo arricchito di misteriose goccioline ed egli si allontana in compagnia del tenerissimo cagnone della ragazza. È perso nelle strade di Roma e nelle allucinazioni di abbracci e carezze di ogni donna, giovane e attraente, incontrata nella vita.
Lo destano, in Piazza Navona, le dita rosate dell’alba di un nuovo giorno e Michelangelo che arriva in motorino.
“Le donne, i cavalier, l’armi, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto” afferma Ludovico Ariosto nei primi due versi dell’Orlando Furioso; in maniera analoga Gianni Di Gregorio “canta” le donne, ma anche gli uomini e gli amori, argomenti garbatamente affrontati.
La visione del mondo di Gianni – regista, attore e personaggio – è di origine arcaica sia per formazione culturale sia per tecnica cinematografica.
Innanzitutto appare chiaro come egli intenda proporre una sorta di “cinema – verità”, le cui trame emergono dall’osservazione, incantata e disincantata, degli stili di vita: si lascia affascinare dai “suoi” interpreti la cui personalità si sovrappone a quella dei personaggi e non si preoccupa di affermare nessuna verità “vera”.
Un valido e coinvolgente espediente realistico, egli usa lasciando ai personaggi i nomi di battesimo propri degli interpreti; l’effetto risulta azzeccato per similitudine e per contrasto: ad esempio, Valeria e Lilia sono due anziane signore il cui taglio di nobiltà, racchiuso nel nome, è imitato nella scelte della sceneggiatura; mentre Michelangelo è un ragazzetto la cui personalità, confusa e senza qualità apparenti, contrasta gradevolmente con il nome altisonante.
Le collaudate capacità di sceneggiatore si ispirano all’antichissima arte dello scalco: saper separare e servire le parti (delle carni cucinate e degli altri cibi) in maniera armoniosa. D’altronde Gianni fa della cucina il suo cavallo di battaglia e, anche in questo film, si ripetono i riferimenti al vino ed alle ricette tradizionali.
La sua tecnica cinematografica ci sembra ispirata a Caravaggio, Pasolini e Sordi: meno spudorato rispetto ai primi due – in quanto non ha il coraggio di affrontare l’intensità dei sentimenti – è abile nel descrivere gli ultimi “romani” di tradizione; per farlo si abbandona alle inquadrature di primissimi piani, che evidenziano i difetti, umani e somatici, dei personaggi per estrarne la forza.
In questo film Gianni prova anche una tecnica “realistica” piuttosto interessante – la ripresa con camera a spalla – mentre segue l’incedere dei protagonisti nel giardino della villa materna (da confrontare con una scena simile in “Hamam” di Ferzan Ozpetek).
Come si diceva non c’è trama, ma emerge “une tranche de vie” dalla visione filosofica e sociale nascosta nella sceneggiatura: il valore del maschio si misura attraverso la sua capacità “produttiva”, economica o sessuale che sia. Il giovane Michelangelo possiede un valore, la giovane e fresca capacità di erezione; il maturo Gianni sente di perdere il proprio valore, in quanto non possiede più la capacità di erezione né un adeguato potere economico sostitutivo. Così suggerisce la morale borghese di matrice calvinista – basata sul produttivismo – cui nessuno riesce più a sfuggire e che distruggerà il mondo (cfr. il concetto di omologazione di Pier Paolo Pasolini).
Contrari all’ideologia borghese, per formazione culturale e scelta esistenziale nonostante sia difficile emanciparsene, vogliamo vedere nel film di Gianni tracce dei “ragazzi di vita” di pasoliniana memoria, ormai ottuagenari ma sempre inchiodati sulle sedie di plastica davanti ai bar, per parlare di “pischelli” e di “pischelle”.
pietro de santis