Foto Famiglia
Da sempre una delle esigenze più sentite dall’essere umano è lasciare un segno nella memoria: i racconti di gesta eroiche, tramandati di generazione in generazione da poeti erranti, da tragediografi, da trovatori, da cantastorie o raccontati tra amici in una sera d’estate, si riferiscono sempre ed immancabilmente all’età dell’oro di ciascuno, cioè il passato irraggiungibile. Le immagini degli eroi o dei grandi – scolpite, dipinte, descritte – aiutano ad immaginarne la fisionomia quasi per rendere possibile un dialogo, il fluire di un discorso magari diridotto a pura ammirazione o il riepilogo di quanto appreso sui libri con l’immersione nell’inconscio per la durata di un piccolissimo istante.
L’invenzione della macchina fotografica, nel fornire uno strumento aggiuntivo alle fantasie di ciascuno sul passato proprio ed altrui, ha anche contribuito a moltiplicare le possibilità del ricordo anche della vita più comune, rendendo quella stessa un po’ più eroica di quanto la memoria non riesca a proporre, alterandone il giudizio: le immagini verosimili arricchiscono i ricordi di altri contenuti, perché consentono un dialogo al tempo presente che ne condiziona l’andamento aggiungendo elementi di realtà attuale, estranei alla storia già vissuta.
Il commento aggiunto grazie all’immagine fermata nel tempo risulta inevitabilmente contraddittorio: mentre risulta senz’altro vero per il momentaneo fruitore dell’esperienza visiva rimane nello stesso tempo falso. Le foto rappresentano sempre falsi più o meno pregevoli: appiattiscono in due dimensioni aspetti profondi ed articolati dell’esistenza passata ed invece consentono di proporne letture nuove ed originali non necessariamente pertinenti. Infatti è la realtà stessa delle immagini, fermate su carta o memorizzate in files, ad ever bisogno di essere rigenerata (a meno che non si tratti di opere d’arte per le quali l’identità del soggetto resta del tutto trascurabile).
Personalmente non sono capace di fotografare alcunché né di prestarmi ad essere ben fotografato avendone consapevolezza, provando sempre la necessità di difendermi dallo sguardo intrusivo e troppo profondo del tempo, ma invece privo di profondità da chi “ruba” l’immagine; tuttavia riconosco che, talvolta e con sorpresa, intravedo nelle foto in cui sono stato rappresentato qualcosa che mi appartiene e di cui non ero ancora consapevole.
Ma le immagini anonime, non corredate dai racconti dei protagonisti, raccontano sempre una storia falsa.
All’interno delle manifestazioni per i 150 anni della proclamazione del Regno d’Italia, viene presentata nella Sala Giubileo del Vittoriano (Monumento al Milite Ignoto) a Roma la mostra fotografica “Foto Famiglia” pubblicizzata in modo accattivante sulle pagine cittadine dei quotidiani e dei settimanali. Si tratta della proposta di qualche decina di foto di famiglie italiane, liberamente raccolte e scelte da “Comunicare Organizzando” di Alessandro Nicosia, il cui percorso espositivo è curato da Francesco Mattioli, Ordinario di Istituzioni di Sociologia presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione, “Sapienza Università di Roma”, autore anche del saggio in catalogo.
La bella immagine pubblicizzata nei manifesti (non nella presente notizia) mostra una sorridente e simpatica famiglia degli anni ’50 a bordo di una moto con sidecar: il capofamiglia in camicia chiara alla guida, la sorridente consorte, in pantaloni e giacca, alle sue spalle ed i tre figli in bella posa dentro l’abitacolo affiancato. Naturalmente la moto è ferma ed il gruppo sembra esprimere la soddisfazione di godere del proprio esaltante mezzo di locomozione.
Attratti dai bei visi invitanti e resi sicuri dalla teoria che si era andata formando nella nostra testa – cioè l’idea di percorrere uno spaccato della società italiana nel novecento attraverso le immagini ferme – ci siamo recati con viva curiosità in una caldissima mattinata domenicale di settembre nel luogo indicato.
Le intenzioni dell’organizzatore risultano invece di altra natura: associano a piccoli numeri di foto similari un argomento inerente la famiglia in quanto gruppo o in quanto idea social popolare. Quindi le foto di gruppi molto numerosi (corredate dai riferimenti patronimici) ritraggono la famiglia allargata; le foto degli sposi rappresentano la costruzione della famiglia; le foto con i bambini designano le speranze verso il futuro e via dicendo.
L’assoluta assenza di spiegazioni logiche sulla rappresentatività delle scelte, eccezion fatta per alcune didascalie del tipo: “La famiglia Tal dei tali in visita al tal posto” e la povertà complessiva del tutto – a dispetto della cura e della qualità tecnica degli ingrandimenti – ci hanno fatto circoscrivere il succo della questione ad una marchetta del valore di qualche decina di migliaia di euro.
A Roma, con il termine marchetta si intende una prestazione di natura più o meno rispettabile erogata al puro scopo di ottenere un lauto compenso in proporzione al tempo ed all’impegno dedicato: quindi si usa l’espressione “fare delle marchette” nell’ambito di un lavoro, soprattutto creativo, qualora l’elaborato provenga da una commissione retribuita, seppur senza un particolare coinvolgimento o impegno del professionista. In pratica, chiunque faccia un lavoro un po’ controvoglia ma sfacciatamente per denaro, si dice faccia “marchette”.
In ogni caso, visto che ormai eravamo dentro alla sala (umidissima e soffocante) abbiamo, come tutti, dedicato qualche minuto al gioco di “interpretare” le immagini fingendo di intuire le mentalità dei soggetti dal loro aspetto esteriore, dai capi d’abbigliamento o dagli oggetti d’arredamento. Ma, realizzando in breve tempo la certezza di concepire sciocchezze, siamo fuggiti cercando ristoro all’aperto su di una splendida panchina ombreggiata e nel venticello, per osservare con interesse e soddisfazione la nostra straordinaria città, affollata di decine e decine di turisti e passanti. La mostra rimane aperta fino al 23 ottobre con ingresso libero.
(pietro de santis)