“Prima di venire inserito nelle antologie, uno scrittore deve essere mortissimo” così diceva la grande Maria Luisa Spaziani, amica per un tempo breve. Mortissimo significa scomparso da un sufficiente numero di anni, in modo che il ricordo non possa nuocere a quanti siano rimasti, per le polemiche di parenti e affini o per il rinvenimento improvviso di scritti segreti. “Poi – aggiungeva – bisogna che qualcuno se ne innamori, cioè comprenda la sua opera, l’apprezzi, la decodifichi, nei termini culturali, sociali e umani”.
È quanto sta accadendo all’opera di Giose Rimanelli? Personalmente ne conosco un unico frammento – seppure il più noto –, cioè il famoso Tiro al piccione, uno dei più tragici, violenti, sofferti romanzi del Novecento. Torna in libreria, finalmente, dopo le distorsioni politiche e gli ostracismi culturali, con la dimensione di opera importante per la letteratura italiana del dopoguerra. Personalmente ho le idee confuse, non sulla qualità dell’opera, ma sulla letteratura del primo dopoguerra, perché resto sbigottito a riguardo della parola guerra: la questione, per me, non dipende dal lato della barricata, perché resto ugualmente sbigottito nei confronti del libro antiparallelo Il partigiano Jonny di Beppe Fenoglio. …
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